Dal 1° gennaio 2021 gli italiani vedranno ridursi gli assegni della pensione. Con la modifica dei coefficienti di trasformazione del montante contributivo per il biennio 2021/2022, i numeri tenderanno al ribasso. In altre parole, meno soldi per i nuovi pensionati: con la riforma delle pensioni, dunque, Quota 100 potrebbe essere confermata (o al contrario sparire), ma con alcune novità. I sindacati e il ministro del Lavoro discutono nel frattempo sull’Opzione Donna e sull’Ape Sociale.
Rebus sulle pensioni: con la nuova riforma, dal 2021 l’unica certezza è che gli assegni diminuiranno e potrebbero cambiare anche le opzioni di uscita dal mondo del lavoro. La richiesta dei sindacati al governo è quella di estendere l’Ape Sociale anche a quelle attività considerate gravose o usuranti e a quei lavoratori che sono maggiormente esposti al rischio del contagio da Covid-19. Chiesta anche la proroga dell’Opzione Donna. Rimangono, invece, dubbi su Quota 100: la riforma costa troppo all’Italia e potrebbe essere introdotto a tal fine un meccanismo di penalizzazione dei nuovi pensionati. Vediamo tutte le novità che potrebbero essere introdotte dalla riforma delle pensioni.
L’Ape Sociale – lo ricordiamo – è un anticipo pensionistico per tutti quei lavoratori meritevoli di tutela che abbiano raggiunto il 63esimo anno di età con almeno 30-36 anni di contributi versati. Il progetto per il 2021 è quello di eliminare il requisito di età e innalzare a 41 gli anni contributivi richiesti.
Quota 100, invece, è una riforma troppo costosa per l’Italia e dunque potrebbe non essere confermata per il 2021. Attualmente la Legge Fornero prevede la possibilità di accedere alla pensione per quei lavoratori che abbiano raggiunto i 67 anni di età (o 42 anni e 10 mesi di contributi). Tuttavia, eliminare definitivamente la riforma sarebbe penalizzante per moltissimi lavoratori. L’idea quindi è introdurre un meccanismo di flessibilità. Il governo pianifica una soglia di 62 o 63 anni di età con un’anzianità contributiva minima di 38 anni (ma si parla anche di 36). Questa opzione, però, comporta una perdita del 2,8-3% sull’assegno pensionistico per ogni di anticipo sull’età pensionabile (67 anni attualmente).
Infine, i sindacati hanno chiesto al governo di prorogare l’Opzione Donna. Si tratta di un meccanismo che prevede la possibilità per le lavoratrici femminili di richiedere l’anticipo pensionistico sulla sola base degli anni contributivi versati. In questo modo, le lavoratrici dei settori pubblici e privati potrebbero andare in pensione a 58 anni (nel caso delle lavoratrici autonome a 59 anni), avendo raggiunto 35 anni di contributi.
Al vaglio dell’esecutivo c’è anche un’ulteriore opzione: la possibilità di lasciare il lavoro a 62 anni o con 37 anni di contributi versati all’INPS. Scegliendo questa opzione, però, il contribuente vedrà ridotto il suo assegno del 3% per ogni anno di anticipo sulla pensione di vecchiaia (attualmente fissata a 67 anni). Il totale della riduzione sarebbero quindi di circa il 15%. Sarà anche possibile accedere ai fondi di solidarietà, ovvero sussidi che il datore di lavoro si fa carico di versare per il lavoratore stesso. L’assegno avrebbe cadenza mensile.
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