Una doppia soglia di uscita anticipata dal lavoro per superare ‘Quota 100’. È questa, secondo le anticipazioni riportate da Il Sole 24 Ore, la proposta che il Governo presenterà ai sindacati nell’incontro fra le parti in programma il prossimo venerdì 25 settembre. L’obiettivo è quello di rendere più flessibile e soprattutto più sostenibile per le casse dello Stato il sistema pensionistico italiano.
Flessibilità è la parola d’ordine della proposta dell’esecutivo: la prima soglia di uscita sarebbe a 62 (o 63) anni per chi è impegnato in lavori gravosi, purché siano stati raggiunti i 36 (o 37) anni di contributi, la seconda, che coinvolge le altre categorie di lavoratori, sarebbe fissata a 64 anni, con 37 anni di contributi. La bozza di riforma prevede inoltre una penalità nel calcolo dei contributi stessi che aumenterebbe per ogni anno di anticipo rispetto ai 67 anni d’età previsti per la normale pensione di vecchiaia.
La riforma entrerebbe in vigore il 1° gennaio del 2022. La proposta di doppia uscita flessibile si accompagna a quella di ‘Quota 41’, che prevede la possibilità, per i lavoratori ‘precoci’ di andare in pensione a qualsiasi età purché si siano raggiunti i 41 anni di contributi. Una proposta che, tra l’altro, i sindacati ritengono non superabile.
La norma sulle pensioni anticipate attualmente in vigore è attiva dal 2019 e prevede, per l’uscita dal lavoro, l’acquisizione di 42 anni e 10 mesi di contribuzione per gli uomini, 41 anni e 10 mesi per le donne (che, a loro volta, possono usufruire della cosiddetta ‘opzione donna’, che permette di lasciare il lavoro a 58 anni – 59 per le autonome – e 35 di contributi, seppur con una penalizzazione del 25-30% rispetto al normale assegno pensionistico). I requisiti per l’uscita anticipata non sono soggetti fino al dicembre 2026 all’adeguamento demografico.
Diverso il discorso legato a ‘Quota 100’: chi usufruisce di questa norma, infatti, può andare in pensione ai 62 anni di età e 38 di contributi, senza penalizzazioni nel calcolo contributivo e con una ‘finestra’ di tre mesi per il settore privato e sei per i dipendenti pubblici. La norma non prevede però l’adeguamento all’aumento della speranza di vita, aggiornato periodicamente dall’Istat.
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