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ECONOMIA

Pensioni, gli uomini hanno assegni più alti. Cos’è “Opzione donna”

Il divario di genere presenta il conto a fine carriera, con le pensioni delle donne in media più leggere del 36% rispetto all’assegno percepito dagli uomini. E questo nonostante rappresentino il 52% della platea dei pensionati. Sono i numeri impietosi contenuti nel rapporto 2022 dell’Inps, presentato oggi alla Camera da Micaela Gelera, commissaria straordinaria dell’Istituto di previdenza.

Il divario tra donne e uomini

I pensionati italiani nel 2022 erano poco più di 16 milioni, invariati rispetto al 2021, per una spesa di quasi 322 miliardi. Pur rappresentando il 48% del totale, gli uomini concentrano il 56% della spesa, ovvero 180,4 miliardi contro i 141,5 erogati alle donne.

Per gli uomini l’importo annuale medio è di circa  23.200 euro contro quello delle donne, che si ferma sotto i 17mila euro.

A conti fatti – tredicesima inclusa – l’importo medio mensile del reddito è di 1.931 euro per gli uomini e di 1.416 per le donne. In pratica l’assegno percepito dalle pensionate è più leggero in media di media 515 euro in meno al mese, circa il 26,67% in meno rispetto agli uomini.

Carriere più brevi e discontinue

Il divario risente del fatto che le carriere lavorative di molte donne sono spesso più brevi e discontinue. Di conseguenza sono inferiori i contributi versati che a fine carriera si riflettono i pensioni più povere.

“Opzione donna”, uscita dal lavoro anticipata

A pesare c’è anche l’uscita anticipata dal lavoro con “Opzione donna”, una formula introdotta nel 2004 che consente alle donne di ottenere la pensione di anzianità con requisiti anagrafici più favorevoli.

Sono state oltre 174.500 le lavoratrici che, a partire dal primo gennaio 2023, sono andate in pensione, con un assegno in media più basso di circa il 40% rispetto alla media delle anticipate (1.170 euro contro 1.947 euro).

La differenza di importo in parte è riconducibile al ricalcolo contributivo e in parte alla minore contribuzione, oltre al fatto che la propensione a utilizzare l’opzione è maggiore tra le lavoratrici nelle classi di reddito più basse e quindi con minore contribuzione.

Per quanto riguarda la distribuzione territoriale delle prestazioni, oltre il 68% viene erogato in Italia settentrionale, dove Opzione donna rappresenta anche il 19% degli anticipi, una percentuale superiore rispetto al resto del Paese.

Foto ANSA – Newsby.it

Le liquidazioni per anno di decorrenza del resto non sono distribuite nel tempo in modo omogeneo e risentono delle riforme che si sono susseguite a partire dal 2010, in testa la cosiddetta riforma Fornero che, bloccando di fatto il pensionamento di vecchiaia e di anzianità delle donne, ha favorito il ricorso all’opzione dal 2012 in poi.

Il calo registrato nel 2016 è dovuto all’innalzamento del requisito anagrafico per l’adeguamento alla speranza di vita. L’esiguo numero di pensionamenti del 2017 è invece dovuto alla mancata proroga di Opzione donna. Mentre l’ulteriore calo del 2018 è riconducibile all’innalzamento dell’età a 58/59 anni.

Le modifiche e i paletti inseriti col tempo hanno fatto crollare il numero delle lavoratrici che scelgono questa opzione. Per questo sarebbe allo studio da parte del governo Meloni un ampliamento della platea in modo da consentire a un numero maggiore di lavoratrici l’uscita anticipata con Opzione donna. Si valuta per esempio la possibilità di estenderla anche a chi non ha figli mentre pare escluso un ritorno ai requisiti del 2022 (58/59 anni d’età e 35 di contributi), per mancanza di fondi.

Speranza di vita, per gli operai 5 anni più breve dei dirigenti

Il rapporto annuale dell’Inps evidenzia anche una differenza nella speranza di vita a seconda del reddito pensionistico percepito. Quella degli operai è inferiore rispetto ai dirigenti. I pensionati che appartengono al primo quintile di reddito hanno una speranza di vita a 67 anni di circa 2,6 anni inferiore rispetto a quelli che appartengono al quintile con il reddito più alto.

E la forbice si amplia in base del comparto nel quale si è lavorato e delle mansioni avute. La differenza è di cinque anni tra chi apparteneva al Fondo lavoratori dipendenti nel primo quintile di reddito (16 anni di speranza di vita) e chi era nel quintile di reddito dal Fondo dirigenti (Inpdai) con 21 anni.

Queste differenze nella speranza di vita in base al reddito – spiega l’Inps – si scontrano con l’utilizzo di un coefficiente di trasformazione unico per il calcolo della pensione che risulta fortemente penalizzante per i soggetti meno abbienti il cui montante contributivo viene trasformato in una pensione più bassa di quella che otterrebbero se si tenesse conto della loro effettiva speranza di vita. Viceversa, i più abbienti ottengono pensioni più elevate di quelle che risulterebbero da tassi che tengono conto della effettiva durata media della loro vita”.

Taglio del cuneo, retribuzioni più alte

Secondo le stime dell’Inps, porterà a un vantaggio di circa 98 euro lordi in busta paga il taglio del cuneo contributivo che prevede dal luglio 2023 un esonero del 7%, per i lavoratori con un imponibile pensionistico fino a 25mila euro su base annua, e del 6% per quelli con un imponibile fino 35mila.

Circa il 57% dei lavoratori beneficerebbe di importi superiori ai 100 euro al mese. Considerando, invece, solo i lavoratori a tempo pieno, l’ammontare dell’esonero arriverebbe a 123 euro. Circa il 2% dei beneficiari riceverebbe meno di 80 euro.

Trattamenti previdenziali e assistenziali

I trattamenti previdenziali (pensioni di anzianità/anticipate, vecchiaia, invalidità e superstite) assorbono il 92% della spesa, mentre il restante 8% è rappresentato da quelli assistenziali (prestazioni agli invalidi civili, pensioni e gli assegni sociali). In totale, le prestazioni previdenziali e assistenziali erogate dall’Inps nel 2022 sono state circa 21 milioni.

La voce che incide di più sulla spesa sono le pensioni di anzianità/anticipate con il 56% del totale, seguite da pensioni di vecchiaia (18%), pensioni ai superstiti (13%), prestazioni agli invalidi civili (6%), pensioni di invalidità (4%) e assegni sociali (2%).

Nel complesso l’importo medio della singola pensione mensile è pari a 1.123 euro (per 13 mesi) con una differenza importante tra la pensione anticipata (1.915 euro al mese) e quella di vecchiaia (889 euro). Per l’invalidità previdenziale la media è poco superiore ai mille euro mensili, per i superstiti è di 747 euro. La media per gli assegni sociali è di 476 euro al mese, mentre le prestazioni agli invalidi civili si fermano a 469 euro.

La spesa per l’Assegno unico

La spesa sostenuta in un anno per l’Assegno unico per i figli a carico è pari a circa 16 miliardi di euro, erogati a 5,7 milioni di nuclei familiari medi al mese, in gran parte non percettori del Reddito di cittadinanza. L’importo medio a dicembre 2022 è risultato pari a 233 euro, mentre l’integrazione media per chi riceve il Rdc è stata di 169 euro.

Federica Giovannetti

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