Torna Elsa Fornero. Sia come regime pensionistico, sia come tecnica del governo. Dal primo gennaio 2022, finita Quota 100, si applicare nuovamente il regime Fornero. Si va in pensione a 67 anni di età o con 42 anni e 10 mesi di contributi (41 per le donne). E il limite ricomincia a crescere con l’aspettativa di vita.
L’ex ministra del Lavoro in persona, inoltre, farà parte di un team di tecnici che supporterà l’esecutivo in campo economico. Si tratta di un “Consiglio d’indirizzo per la politica economica” istituito dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Bruno Tabacci.
Un gruppo di esperti nel ruolo di consulenti sui temi economici. Non è chiaro quali saranno i compiti di Elsa Fornero. E neppure quanto sarà influente la sua voce nel dibattito sulla riforma del sistema pensionistico. Ma tanto è bastato per scatenare le ironie dei quotidiani di centrodestra, che non hanno mai perdonato alla tecnica voluta dal Mario Monti la riforma delle pensioni.
Elsa Fornero, la ministra “nemica” della Lega e di Potere al Popolo
Gli scontri alla trasmissione “Di Martedì” di Giovanni Floris tra Elsa Fornero e il leader della Lega Matteo Salvini per un periodo sono diventati quasi un “format” del talk show politico italiano. E più di recente si sono aggiunti i “battibecchi” tra la professoressa e gli esponenti di Potere al Popolo.
Entrambe le forze politiche criticano l’inasprimento previsto dall’allora ministra del Lavoro. Molti ricorderanno le lacrime di Elsa Fornero quando presentò la riforma. Che innalzava l’età pensionabile, riduceva l’adeguamento all’aspettativa di vita dal 2019 a cadenza biennale e non più triennale. Ed estendeva pro-rata il metodo contributivo a chi era stato escluso dalla precedente riforma Dini.
Le riforme prima della Fornero
In realtà tutte le riforme a partire dagli anni Novanta sono andate nella direzione della riduzione dei costi. Dagli aumenti di età della riforma Amato nel 1992 alla riforma Dini del 1995. Quella che segnò il passaggio dal sistema retributivo al sistema contributivo. Ovvero con l’assegno calcolato sulla base di quanto versato durante la carriera.
E anche le riforme di Prodi nel 1997 e di Maroni del 2004, che inasprì i requisiti per la pensione di anzianità, confermarono la direzione del taglio della spesa pubblica, dopo gli sprechi degli anni Settanta e Ottanta e le cosiddette “baby pensioni”.
Possibili riforme e cosa chiedono i sindacati
I sindacati chiedono di archiviare il sistema delle quote. E anticipare, senza smontare la legge Fornero, il meccanismo del contributivo totale. Ovvero, uscita libera dai 62 anni di età (e almeno 20 di contributi) o con 41 di contributi a prescindere dall’età. Il governo si sta occupando anche del problema della pensione anticipata dei dipendenti pubblici.
Sul tema è intervenuto anche il presidente dell’Inps Pasquale Tridico. Proponendo la possibilità di una pensione anticipata a 62/63 anni con almeno 20 di versamenti con un assegno parziale, relativo alla sola parte di pensione maturata con il metodo contributivo. L’erogazione della parte retributiva arriva invece a partire dai 67 anni necessari per accedere alla pensione di vecchiaia.
Infine la Corte dei Conti, nel “Rapporto annuale sulla finanza pubblica”, ha proposto di dare a tutti la possibilità di pensione anticipata a 64 anni con almeno 20 di contributi versati. Equiparando di fatto chi ancora è con sistema contributivo e chi si trova in regime misto.