Bruxelles cancella il “segreto sugli stipendi”? Non proprio. Nei giorni scorsi su numerose testate italiane la notizia della presunta “cancellazione” da parte del Parlamento europeo del “segreto sugli stipendi”. Col rischio di spegnere gli entusiasmi, è bene precisare che la direttiva Ue in questione – la numero 2023/970 approvata lo scorso 10 maggio – non chiede affatto agli Stati membri di eliminare il segreto sulle buste paga. Piuttosto afferma il diritto di lavoratrici e lavoratori alla “trasparenza retributiva”.
L’obiettivo ultimo del provvedimento è quello di rimuovere la disparità di retribuzione tra uomini e donne, il cosiddetto gender pay gap, e non di consentire ai lavoratori di conoscere lo stipendio dei colleghi.
Come si legge nel provvedimento, la direttiva mira a “rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza retributiva e i relativi meccanismi di applicazione”.
Nel testo si afferma per esempio che i candidati a una posizione vacante hanno diritto di ricevere dal potenziale datore di lavoro una serie di informazioni, come la retribuzione iniziale e i criteri utilizzati per determinarla, ma anche i livelli retributivi medi, ripartiti per sesso, dei lavoratori che svolgono lo stesso lavoro.
Proprio la trasparenza sui livelli retributivi di uomini e donne mira a fare emergere un eventuale divario di genere sul luogo di lavoro.
Ogni dipendente potrà dunque chiedere al datore di lavoro di conoscere i dati relativi alle retribuzioni medie e aggregate ma non lo stipendio del singolo lavoratore, nel rispetto delle norme sulla privacy.
L’azienda avrà l’obbligo di rispondere in “tempi ragionevoli” e comunque entro due mesi dalla richiesta.
Allo stesso modo, l’azienda non potrà impedire al lavoratore di rendere nota la propria retribuzione. Sono vietate in particolare le clausole contrattuali che impongono il segreto ai lavoratori.
La trasparenza si estende anche agli annunci di lavoro, che dovranno recare informazioni neutre e obiettive sulla retribuzione, mentre durante i colloqui sarà vietato indagare sui salari percepiti in passato.
Nel caso di violazione degli obblighi di parità retributiva, la direttiva chiede agli Stati membri di garantire il diritto del lavoratore a chiedere e ottenere il risarcimento del danno subìto.
Per le aziende con più di 100 dipendenti, la direttiva introduce obblighi di comunicazione più stringenti. A partire da giugno 2027, dovranno redigere report periodici sul gender pay gap con riferimento a valori medi e aggregati. E nel caso emergesse un ingiustificato divario retributivo di genere pari o superiore al 5%, il datore di lavoro dovrà adottare misure correttive.
Sul fronte delle sanzioni, incluse le ammende, la direttiva chiede agli Stati membri di introdurre misure “efficaci, proporzionate e dissuasive” con “un reale effetto deterrente” nei confronti delle violazione dei diritti e degli obblighi connessi alla parità di retribuzione.
In attesa del recepimento della direttiva, le aziende non avranno carta bianca. Già oggi in Italia sono in vigore strumenti che tutelano i dipendenti dalle discriminazioni salariali. E il caso del Codice delle pari opportunità.
Va poi sottolineato che una direttiva europea, a differenza dei regolamenti, non ha immediata applicazione negli ordinamenti nazionali ma stabilisce dei princìpi generali che spetta agli Stati membri recepire. In questo caso c’è tempo fino al giugno del 2026 prima di incorrere in una procedura di infrazione.
E in Italia le divergenze in seno alla maggioranza di governo in tema di trasparenza restributiva non fanno ben sperare. Come riportato da Pagella Politica, lo scorso giugno è stato respinto l’ordine del giorno, presentato alla Camera dal gruppo di Alleanza Verdi-Sinistra, che chiedeva tra le altre cose di attuare la direttiva europea sulla trasparenza dei salari.
A votare contro tutte le forze di centrodestra con l’eccezione di Forza Italia che si è astenuta. Anche al Parlamento europeo i partiti hanno assunto posizioni difformi: mentre la Lega si è astenuta, Fratelli d’Italia si è opposto e Forza Italia ha votato a favore.
Difficile prevedere come andrà a finire. Di certo resta il divario salariale tra uomini e donne. Secondo i dati di Eurostat elaborati dalla Commissione europea, la paga media oraria delle donne nell’Europa a 27 è inferiore del 13% rispetto a quella degli uomini.
Se si guarda all’Italia, apparentemente le cose sembrano andare meglio che altrove. Nel nostro Paese infatti il gender pay gap si attesa sotto la media europea al 4,2%, il livello più basso dopo Romania, Slovenia, Polonia e Belgio. Il Lussemburgo invece è l’unico Paese europeo in cui il divario salariale è a favore delle donne, che guadagnano lo 0,2% in più dei colleghi uomini.
Un dato, quello italiano, che però va analizzato tenendo presente che l’indagine non include le imprese con meno di dieci dipendenti. Un fatto non trascurabile in un Paese come l’Italia dove, secondo i dati Istat, le microimprese rappresentano più del 90% del tessuto imprendibile e oltre 43% dell’occupazione.
Resta sopratutto un differenziale salariale tra settore pubblico e privato molto marcato: il 3,8% nel primo contro il 17% nel secondo, secondo i dati Istat.
Se il divario salariale è ancora troppo elevato, con le donne che in media lavorano un mese e mezzo gratis rispetto ai colleghi uomini, va sottolineata la tendenza positiva registrata negli ultimi dieci anni. Dal 2012 al 2021 infatti il divario retributivo in Europa è passato dal 16,4% al 12,7%. Anche l’Italia il gender pay gap si è contratto, dal 6,5% al 4,2%.
D’altra parte se si analizza il fenomeno per settori, si scopre una realtà piuttosto eterogenea. In Italia per esempio quello che sconta il divario salariale più ampio tra uomini e donne è lo spettacolo, con i primi che arrivano a guadagnare oltre il 60% in più delle seconde. Seguono le attività professionali con una forbice del 24%, la finanza e le assicurazioni (24%) e la sanità (21%). Il settore più equo invece è quello della gestione dei servizi idrici e dei rifiuti, con un gap retributivo inferiore all’1%.
Il campo dove sono le donne a guadagnare di più dei colleghi maschi? Il settore minerario, con le prime che portano a casa uno stipendio più alto del 5%.
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