Secondo l’Istat circa il 45% delle imprese “è strutturalmente a rischio: esposte a una crisi esogena, subirebbero conseguenze tali da metterne a repentaglio l’operatività”. È quanto emerge dal Rapporto 2021 sulla competitività dei settori produttivi reso noto proprio dall’Istituto nazionale di statistica attraverso una “mappa della solidità”. Queste imprese sono “numerose” nei settori a basso contenuto tecnologico e di conoscenza. All’opposto, “solo l’11% risulta solido”.
La crisi ha colpito soprattutto le imprese di piccola e piccolissima dimensione (risulta a rischio oltre un terzo di quelle con 3-9 addetti). E si è manifestata prevalentemente attraverso un crollo della domanda interna e della liquidità. A fine 2020 il 32,4% delle imprese con almeno 3 addetti riteneva ancora compromesse le proprie possibilità di sopravvivenza nei primi sei mesi del 2021. Il 62% prevedeva ricavi in diminuzione e meno del 20% riteneva di non avere subito conseguenze o di aver tratto beneficio dalla crisi.
A fine 2020 quasi un terzo delle imprese considerava a rischio la propria sopravvivenza. Oltre il 60% prevedeva ricavi in diminuzione e solo una su cinque riteneva di non avere subito conseguenze o di aver tratto beneficio dalla crisi. Nonostante uno scenario in miglioramento, le prospettive di ripresa per il 2021 sono giudicate limitate: meno di un’impresa su cinque prevede una normale prosecuzione dell’attività nella prima metà dell’anno.
Nel 2020 l’indice in valore del fatturato della manifattura ha registrato un calo dell’11,1% rispetto al 2019, con diminuzioni analoghe sul mercato interno (-11,1%) e su quello estero (-11,3%), dovute in buona parte al crollo del secondo trimestre (circa -30% su base tendenziale). Gli effetti economici più devastanti legati alla pandemia Covid riguardano le attività legate al turismo, con una diminuzione del 59,2% degli arrivi totali e del 74,7% di quelli dall’estero.
Per l’Istat, l’insolvenza di molte imprese, che costituisce il principale rischio nei mesi a venire per il sistema produttivo italiano, aumenta l’esposizione del sistema bancario a possibili trasmissioni dello shock dal segmento non finanziario, implicando possibili tensioni sia sui bilanci delle banche, sia sui rapporti banca-impresa.
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