Coronavirus, la Francia non darà fondi alle società nei paradisi fiscali

Nell’ambito del piano per l’emergenza Coronavirus, il Governo francese ha deciso che non darà più nessun aiuto alle società che hanno sedi nei paradisi fiscali. Lo ha detto il ministro dell’Economia e delle Finanze, Bruno Le Maire, durante un’intervista a France Info. “Va da sé che un’azienda che ha la sede fiscale o delle filiali nei paradisi fiscali, e lo voglio dire con molta forza, non potrà beneficiare degli aiuti di liquidità da parte dello Stato”, ha detto il ministro che ha anche auspicato che l’11 maggio, quando terminerà il lockdown Oltralpe, possano riaprire tutti i negozi, eccetto bar e ristoranti; ma non ha escluso che ci possano essere disparità tra le varie regioni.

Anche Danimarca e Polonia nella battaglia contro i paradisi fiscali in piena emergenza Coronavirus

Misure simili a quelle della Francia erano già state adottate da Danimarca e Polonia. Il Paese che ha come capitale Varsavia era stato il primo in Europa a inizio mese a fare sapere che le società registrate in paradisi fiscali, in linea con le linee guida dell’Unione europea, non avrebbero ricevuto gli aiuti di Stato elargiti per supportare le aziende nell’affrontare le conseguenze economiche della pandemia di Coronavirus. Il primo ministro, Mateusz Morawiecki ,disse che le grandi aziende che volevano una parte del fondo di salvataggio dovevano pagare le tasse aziendali nazionali: “Poniamo fine ai paradisi fiscali, che sono la rovina delle economie moderne”.

Nei giorni scorsi la Danimarca si è unita, mettendo il veto dei sussidi alle società con sede nei paradisi fiscali. Le nuove restrizioni, previste dal ministero delle finanze danese, si applicano alle imprese registrate nei paesi della black list fiscale dell’Unione Europea che attualmente contiene 12 paesi: Panama, Isole Cayman, Palau, Seychelles, Samoa americane, Figi, Guam, Samoa, Oman, Trinidad e Tobago, Vanuatu e Isole Vergini americane. “Quando spendiamo miliardi dei contribuenti per salvare aziende e posti di lavoro, devono essere spesi per quello scopo e non essere mandati in un paradiso fiscale dall’altra parte del mondo”, ha detto Rune Lund, il portavoce dell’alleanza rosso-verde.

Paradisi fiscali: in Italia un tema “spinoso” per governo e media

In Italia il tema, semplicemente, non è all’ordine del giorno. Ma cerchiamo di fare chiarezza sulla situazione nel Belpaese.
Partiamo dalle dichiarazioni di Giuseppe Conte, Presidente del Consiglio italiano, che nella “semi-indifferenza” generale e in piena trattativa per gli Eurobond, ha puntato il dito contro Amsterdam: “L’Olanda è tra i Paesi che si avvantaggiano molto del contributo delle imprese italiane. Perché molte grandi imprese che pure hanno i principali stabilimenti in Italia e ricavano i maggiori profitti nel nostro Paese poi beneficiano della legislazione fiscale olandese, molto più conveniente”.
Le dichiarazioni, volte ovviamente a logorare la rigidità del governo olandese in materia di emissioni di titoli europei per aiutare i Paesi in difficoltà, trovano riscontro in cifre da tempo risapute ma sulle quali mai si è aperta una vera e propria discussione a livello nazionale: del 100% del gettito fiscale non incassato dall’Italia per aziende nostrane piazzatesi altrove (prevalentemente con il trasferimento di sedi e succursali), ben l’80% finisce nelle casse di altri Paesi inseriti nell’Unione Europea.
Non si parla, dunque, delle Isole Cayman piuttosto che delle Seychelles, ma nemmeno della vicina Svizzera, arcinota per la “delocalizzazione” fatta registrare da alcuni nostri grandi brand: parliamo di Lussemburgo, Irlanda e della stessa Olanda, su tutti. “Amici” cui le nostre multinazionali, da Cementir ad Expo, da FCA a Luxottica, da Campari a Ferrero, iniettano 17 dei 20 miliardi di euro che in un sistema ideale dovrebbero restare entro i nostri confini. Evasione fiscale? Non proprio.
V’è una legittimazione legislativa in tutto questo, resa ancor più stabile dalle normative dell’Unione Europea e blindate da accordi bilaterali sottoscritti al fine di non infliggere alle aziende una doppia tassazione. Trasferire la propria sede legale ad Amsterdam, per restare in tema, significa poter beneficiare del diritto olandese: giusto per far nostro un esempio pratico, QuiFinanza spiega perfettamente come “La legislazione olandese consenta all’azionista di maggioranza relativa di avere la maggioranza assoluta in sede di CdA. Ciò vuol dire che anche con una quota inferiore al 30% o al 20%, l’azionista di maggioranza potrà contare su un potere di voto superiore al 50%”. Senza tralasciare una tassazione sugli utili finanziari enormemente inferiore rispetto all’Italia.

Come si sta muovendo il governo italiano a tal proposito?
In realtà un piccolo tentativo di proteggersi da ulteriori “scippi” l’Italia lo ha messo in campo e lo ha fatto attraverso il cosiddetto Golden Power: con uno degli ultimi decreti legge, l’Italia impedisce l’acquisizione delle nostre aziende – magari in difficoltà a causa dell’emergenza seguita alla pandemia del Coronavirus – a multinazionali straniere. Uno strumento senza dubbio encomiabile, anche se – in tempi in cui la liquidità scarseggia non poco – quello varato da Conte e Gualtieri pare essere un difensore aggiunto in una squadra che dovrebbe invece cercare la via della rete.

A stemperare, poi, l’eventuale spinta dell’opinione pubblica sui decisori, italiani ed europei, ci si mette anche un sistema editoriale tutt’altro che disinteressato. Basti pensare che Exor, holding della famiglia Agnelli con sede proprio ad Amsterdam, oltre a controllare FCA e Ferrari, aziende importantissime per la nostra nazione in termini occupazionali, ha appena concluso l’acquisizione del gruppo GEDI (la Repubblica, La Stampa, L’Espresso…); oppure che Cementir, del gruppo Caltagirone, anch’essa innamoratasi dei Paesi Bassi, rientra nel giro di proprietà de Il Messaggero, Il Mattino, Leggo; per non parlare di Mediaset, che ha da poco fondato Mediasetforeurope con sede… beh sapete dove.

 

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