Il potere dei libri – eternare il pensiero di chi li ha scritti – è tanto più vero nel caso di Michela Murgia, morta lo scorso 10 agosto a soli 51 anni a causa di un cancro.
Le opere dell’autrice sarda, molti saggi e alcuni romanzi, restituiscono plasticamente la sua visione del mondo. Dal femminismo all’antifascimo passando per il cattolicesimo, che da credente ha saputo conciliare con temi controversi come l’eutanasia.
Proprio il fine vita è il soggetto di “Accabadora”, il romanzo, edito da Einaudi, che nel 2010 le è valso il premio Campiello.
Come scrive Valeria Parrella sulla quarta di copertina, “Michela Murgia, attingendo alla potenza della letteratura, traspone il dibattito attuale su testamento biologico ed eutanasia in un universo mitico, donandoci la possibilità di tornare a pensarvi senza urlare, con la giusta forza e delicatezza”. E lo fa raccontando la storia, ambientata in una Sardegna remota degli anni ‘50, di Tzia Bonaria Urrai, la “accabadora”, cioè colei che finisce. L’“ultima madre” che “è pronta a entrare nelle case per portare una morte pietosa” quando necessario. “Agli occhi della comunità il suo non è il gesto di un’assassina, ma quello amorevole e pietoso di chi aiuta il destino a compiersi”.
Un tema sul quale, come a voler chiudere il cerchio, Murgia era tornata di recente in una delle sue ultime interviste. “Posso sopportare molto dolore, ma non di non essere presente a me stessa. Chi mi vuole bene sa cosa deve fare”, aveva detto nel maggio scorso al Corriere della Sera.
Molti i saggi dedicati al femminismo e alla lotta alla mentalità patriarcale che, denunciava Murgia, ancora oggi persiste e imbriglia l’emancipazione delle donne. Emblematico in questo senso “God Save the Queer” (Einaudi, 2022), con il quale la scrittrice mostra che non c’è contraddizione tra l’essere a un tempo femminista e cattolica.
“Vorrei capire, da femminista, se la fede cristiana sia davvero in contraddizione con il nostro desiderio di un mondo inclusivo e non patriarcale, o se invece non si possa mostrare addirittura un’alleata”, scrive Murgia. “Da cristiana confido nel fatto che anche la fede abbia bisogno della prospettiva femminista e queer, perché la rivelazione non sarà compiuta fino a quando a ogni singola persona non sarà offerta la possibilità di sentirsi addosso lo sguardo generativo di Dio mentre dichiara che quello che vede ‘è cosa buona’”.
Un tema, il rapporto tra cristianesimo e femminismo, che la scrittrice aveva già affrontato nel 2011 con “Ave Mary” (Einaudi). Il saggio mostra il ruolo determinante avuto dalla chiesa nella costruzione dell’immagine della donna. Partendo da casi concreti, il libro dimostra come la formazione cattolica di base continui a legittimare la gerarchia tra i sessi, anche in ambiti e tra persone distanti dalla religione.
Ancora di femminismo parla “Morgana” (Mondadori), scritto nel 2019 a quattro mani con l’amica Chiara Tagliaferri. “Controcorrente, strane, pericolose, esagerate, difficili da collocare e rivoluzionarie”. Sono le dieci donne raccontate in questo libro: Moana Pozzi, Santa Caterina, Grace Jones, le sorelle Brontë, Moira Orfei, Tonya Harding, Marina Abramovic, Shirley Temple, Vivienne Westwood, Zaha Hadid.
Il libro non è un catalogo di donne esemplari. Al contrario, sono streghe per le donne stesse, irriducibili anche agli schemi della donna emancipata e femminista.
Le Morgane di questo libro concorrono ciascuna a proprio modo a smontare il pregiudizio della natura gentile e sacrificale della donna. Ovvero la narrazione che esclude la dimensione oscura o egoistica che invece appartiene alle donne tanto quanto agli uomini. Le loro storie sono educative, non edificanti, disegnano parabole individuali più che percorsi collettivi, ma finiscono per tracciare la via anche per le altre donne.
È imperniato sul tema del pregiudizio che passa attraverso il linguaggio “Stai zitta” (Einaudi, 2021). “È con le parole che ci fanno sparire dai luoghi pubblici, dalle professioni, dai dibattiti e dalle notizie, ma di parole ingiuste si muore anche nella vita quotidiana”, scrive l’autrice, convinta che per ogni diritto negato alle donna “esiste un impianto verbale che lo sostiene e lo giustifica”.
E gli esempi sono moltissimi: “Accade ogni volta che rifiutano di chiamarvi avvocata, sindaca o architetta” oppure “quando siete le uniche di cui non si pronuncia mai il cognome, se non con un articolo determinativo davanti”. E soprattutto quando vi dicono “di stare zitta”. Il libro mette dunque in luce il legame mortificante che esiste tra le parole e le ingiustizie subite dalle donne.
Di linguaggio si occupa anche “L’ho uccisa perché l’amavo”. Falso! (Laterza) , il pamphlet scritto nel 2013 insieme alla giornalista Loredana Lipperini, che mette sotto accusa le cronache sui femminicidi. Espressioni come “delitto passionale” o “raptus” e giustificazioni come “lei lo ha lasciato” o “ non lo amava più” nascondono la vittima e finiscono con assolvere il carnefice. Obiettivo dichiarato del testo è “imparare a parlare di femminicidio” trovando le parole giuste.
In “Istruzioni per diventare fascisti” (Einaudi, 2018) emerge la visione più propriamente politica di Michela Murgia, che usa sapientemente la provocazione, il paradosso e l’ironia per invitarci tenere alta la guardia contro i pesanti relitti del passato che inquinano il presente. E ci mette davanti a uno specchio costringendoci a guardare negli occhi la parte più oscura che alberga in ciascuno di noi.
“Essere democratici è una fatica immane. Significa fare i conti con la complessità, fornire al maggior numero di persone possibile gli strumenti per decodificare e interpretare il presente, garantire spazi e modalità di partecipazione”, osserva la scrittrice che constata amaramente come la democrazia in Italia “sembra non interessi più a nessuno, tanto meno alla politica”.
“Noi siamo tempesta” (Salani, 2021) mostra come la figura dell’eroe solitario, il protagonista delle storie raccontate ai bambini, sia di fatto un’eccezione. La vita quotidiana, sostiene Murgia, è popolata invece di persone comuni che hanno compiuto imprese mirabili facendo squadra e fidandosi le une delle altre. Da Wikipedia alle madri di Plaza de Mayo passando per la nave di soccorso Mediterranea Saving Humans, sono sedici le avventure collettive famosissime o del tutto sconosciute che l’autrice ha scelto e raccontato come imprese corali perché “la collaborazione creativa è un superpotere che appartiene a tutti. Una tempesta alla fine sono solo milioni di gocce d’acqua, ma col giusto vento”.
Pubblicato lo scorso maggio, “Tre ciotole rituali per un anno di crisi” (Mondadori, 2023) è l’ultimo libro che Michela Murgia ha dato alle stampa prima della morte. Un romanzo composto da dodici storie tenute assieme dal filo conduttore della crisi. Quel cambiamento radicale innescato da un evento inaspettato, come la malattia, il lutto, l’abbandono o la perdita del lavoro. È lo spartiacque tra il primo e il dopo che costringe ciascuno a “forme inedite di sopravvivenza emotiva”.
La scrittrice racconta quindi alcuni rituali che permettono di evitare il crollo, come quello delle “tre ciotole” che danno il titolo al romanzo, usate per dividere le quantità di cibo durante periodi di inappetenza o di troppa fame.
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