Cosa vuol dire “ti amo”? Che cosa stiamo dicendo per davvero quando pronunciamo queste parole? Che rapporto ha l’amore con la follia, il pudore, la sessualità, il tradimento, la gelosia e così via? Ce lo racconta Umberto Galimberti, filosofo e psicanalista, tra i massimi pensatori del nostro secolo, nel volume “[sponsor-link id=”244″]“, edito da Feltrinelli, nel 2004. A distanza di più quindici anni dalla sua uscita, questo libro continua a essere uno dei manuali d’amore più interessanti del nostro tempo. Pagina dopo pagina, Galimberti conduce il lettore alla scoperta dei meccanismi più reconditi dell’amore, in tutte le sue manifestazioni: dall’attrazione al corteggiamento, dalla seduzione al tradimento, sino alla separazione e all’onanismo.
“Non c’ è parola più equivoca di amore – esordisce Galimberti – e più intrecciata a tutte quelle altre parole che, per la logica, sono la sua negazione“. Tutti, chi più chi meno, abbiamo fatto esperienza che l’amore “si nutre di novità, di mistero e di pericolo“. I suoi nemici sono il tempo, la quotidianità e la familiarità, spiega il filosofo. “Nasce dall’idealizzazione della persona amata di cui ci innamoriamo per un incantesimo della fantasia, ma poi il tempo, produce il disincanto“. L’amore si tramuta dunque in un affetto privo di passione o nell’amarezza della disillusione. “Quanta felicità barattiamo in cambio della sicurezza?“, si chiede Galimberti, riprendendo un interrogativo di Freud.
Quanti cambiamenti dell’altro ignoriamo per garantirci un partner prevedibile? “L’amore uccide il desiderio“, risponde Galimberti. “Trasformiamo in abitudini le persone che amiamo, e, attraverso questa degenerazione protettiva, ci garantiamo la sicurezza della casa e ci difendiamo dalla vulnerabilità intrinseca dell’ amore“. Le caratteristiche adorate dell’altra persona, che un tempo ci avevano fatto innamorare, possono anche non essere affatto illusorie. Ma, siccome perdere chi è unico al mondo è molto più doloroso che perdere uno qualsiasi, “dall’idealizzazione di solito ci si difende o troncando la relazione dopo il primo incontro, o aggrappandosi alle imperfezioni e ai difetti del partner per tenere a bada la fascinazione“.
Davvero l’ odio è il compagno inevitabile dell’amore? “Se gettiamo uno sguardo nelle nostre menti – spiega Galimberti -, dove si verificano la maggior parte dei crimini passionali, parrebbe che le cose vadano proprio così“. In effetti, “non c’è nessuno che non abbia provato un profondo sollievo quando l’ amore sopravvive al primo litigio all’ ultimo sangue“. Anzi di solito si fa l’ amore, “quasi per celebrarne la profondità e la resistenza che non si sarebbe potuto verificare in nessun altro modo“. Sembra quindi che l’odio sia il compagno inevitabile dell’ amore, “la cui sopravvivenza – sottolinea il filosofo – forse non dipende tanto dalla capacità di evitare l’ aggressività, quanto dalla capacità di viverla e di oltrepassarla in nome dell’amore“.
Dunque che cos’è l’amore? Come cambia il nostro modo di essere? “Non è qualcosa di cui l’io dispone, ma semmai è qualcosa che dispone dell’io, qualcosa che lo incrina, che lo apre alla crisi, che lo toglie dal centro della sua egoità, dall’ ordine delle sue connessioni, per nessi di tutt’ altro genere e forma e qualità. Per questo, “Platone erge Amore a simbolo della condizione dell’uomo“, mai in possesso di sé, ma sempre dilaniato. “Amore non è solo vicenda di corpi, ma traccia di una lacerazione – ricorda Galimberti -. E quindi incessante ricerca di quella pienezza, di cui ogni amplesso è memoria, tentativo, sconfitta“.
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