Le Olimpiadi di Tokyo sono anche l’occasione per conoscere qualcosa in più della cultura giapponese. Se la modernità è influenzata in profondità dal Giappone, basti pensare alla tecnologia, l’anima tradizionale di questo Paese è più sfuggente. Né qui in poche righe si ha la pretesa di comprenderla a fondo.
Semplicemente consigliare qualche spunto interessante e alcune curiosità. Al di là degli aspetti più noti, dai samurai al teatro kabuki, che evidentemente ha influenzato anche la cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Tokyo 2020. Senza la pretesa di essere esaustivi e con il limite temporale di quanto avvenuto in Giappone prima della “modernizzazione” di metà Ottocento.
Per approfondire la conoscenza della cultura tradizionale del Giappone in periodo di Olimpiadi conviene partire dalle arti marziali, anche se non tutte sono disciplina olimpica, il judo, il karate, l’aikido oppure il kendo (combattimento con la spada) e il kyudo (tiro con l’arco). Dietro ogni arte marziale non ci sono solo le tecniche di combattimento, ma una serie di principi fondamentali, che aiutano molto a comprendere come i giapponesi intendano lo sport.
Miyamoto Musashi, il più celebre maestro di spada giapponese, scrisse nel diciassettesimo secolo il manuale del perfetto guerriero, il Libro dei cinque anelli, in cui insegnava la strada da seguire per vincere le proprie battaglie. Ogni anello rappresentava una tecnica o un differente aspetto della strategia e presumeva che il guerriero che fosse stato in grado di padroneggiare i cinque anelli sarebbe stato un samurai invincibile.
L’essenza più profonda, tuttavia, era nel suo significato spirituale: esso, infatti, guidava ciascuno in un intenso cammino di auto-perfezionamento interiore verso una realizzazione più piena e completa della propria personalità tramite la conoscenza della Via dell’heiho, intesa come l’insieme di pratiche del guerriero e correntemente tradotta, in modo non esaustivo, come “arte marziale”. Vincere prima “dentro” per poi vincere “fuori”.
Da sempre i giapponesi convivono con le manifestazioni estreme della natura. I forti venti, i terremoti, le temperature rigide. Malgrado i grandi dolori e le distruzioni, i giapponesi hanno sempre rispettato la natura, tanto da farne una religione. Perché, come lo stesso shintoismo afferma, il Dio si trova in natura perché Dio è natura.
La natura è al centro anche di uno dei prodotti più noti dell’arte del Giappone: la xilografia degli Ukiyo-e. Il cui grade maestro è Katsushika Hokusai (1760-1849). In molti conosceranno i suoi Ukiyo-e più famosi, come la Grande onda presso la costa di Kanagawa. O le rappresentazioni del monte Fuji.
Particolarmente interessante e istruttiva è anche la vita di questo artista. Una volta, a causa di un incendio, perse tutto. La sua casa e i disegni che custodiva. Gli unici oggetti che riuscì a salvare furono i pennelli. E da lì ripartì, continuando a dipingere. Lavorando con determinazione e umiltà, con un atteggiamento molto giapponese di continuo e graduale miglioramento.
Nonostante avesse cominciato a padroneggiare la tecnica della xilografia dall’età di dodici anni nella bottega del maestro Katsukawa Shunsho, in vecchiaia disse: “Già all’età di sei anni disegnavo ogni sorta di cose. A cinquant’anni avevo già disegnato parecchio, ma niente di tutto quello che ho fatto prima dei miei settant’anni merita veramente che se ne parli.
Per concludere, due curiosità sul tema Ukiyo-e. La funzione originale di queste xilografie era quella di essere una specie di cartonlina. Una sorta di promozione turistica del territorio del Giappone ante litteram. Katsushika Hokusai aveva l’abitudine di consegnare ai suoi allievi dei manuali da lui disegnati. Li chiamava “schizzi sparsi”, in giapponese: manga.
La natura ha influenze profonde nella stessa lingua giapponese. Molti cognomi, fanno infatti riferimento ad essa: fiume del Nord, glicine, ponte, riso. E proprio la lingua è uno dei principali ostacoli alla conoscenza della cultura giapponese nel mondo, a causa della sua complessità. Basti pensare che i giornali hanno una vera e propria lista di parole che i giornalisti non possono utilizzare, perché molte risulterebbero sconosciute alla maggior parte dei giapponesi.
E ne rende difficile anche la traduzione di opere letteraria del Giappone. Con l’eccezione naturalmente di autori di successo mondiale, primo tra tutti Murakami Haruki. Oppure i tradizionali haiku, brevi componimenti in versi sulla natura, scritte con il tipico approccio minimalista giapponese. Per chi fosse interessato, si trova una raccolta molto accurata edita da Castelvecchi.
Per quanto riguarda la religione shintoista, una lettura introduttiva potrebbe essere Iniziazione allo shintoismo, di Ono Tokyo (Mediterranee). Infine, un libro che accende un faro su un altro aspetto centrale della cultura giapponese: la vita di corte e l’imperatore. Si intitola Il mondo del Principe Splendente. Vita di corte nell’antico Giappone di Ivan Morris ed è pubblicato da Adelphi.
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