Tempo fa era un argomento divisivo. Addirittura lo si usava per screditare o delegittimare posizioni politiche a seconda di chi ne parlava. Il punto, forse, è che non se ne è davvero mai parlato abbastanza. Vuoi per la complessità del tema, vuoi per l’incapacità generale di scindere storia e memoria, i massacri delle foibe accendono ancora discussioni. Ma ci sono dati oggettivi da tenere in considerazione e una data da ricordare: il 10 febbraio.
Senza ricalcare le migliaia di pagine scritte da manuali e storici sul tema, le “foibe” possono essere definite come dei pertugi detti “inghiottitoi” che incidono terreni “carsici”, ricchi cioè di calcare e altri minerali. E i massacri annessi sono gli eccidi ai danni di militari e civili autoctoni della Venezia Giulia, del Quarnaro e della Dalmazia avvenuti durante e subito dopo la Seconda Guerra Mondiale. A perpetrarli furono i partigiani jugoslavi e i membri dell’Ozna (parte dei servizi segreti militari jugoslavi).
A dire il vero, la maggioranza delle vittime morì nei campi di prigionia jugoslavi o durante la deportazione verso di essi. La restante parte veniva invece uccisa per rivalsa della popolazione jugoslava. Duplice la causa principale: da un lato far fuori oppositori reali o presunti del comunismo di Tito che stava prendendo piede; dall’altro levare di mezzo soggetti e strutture ricollegabili a fascismo, nazismo e collaborazionismo. Le morti variano in base alle fonti: secondo gli storici Raoul Pupo e Roberto Spazzali si arriva anche a 5mila, mentre per altri si può salire verso gli 11mila.
In seguito al massacro delle foibe seguì il cosiddetto “esodo giuliano dalmata”, ovvero l’emigrazione più o meno forzata della maggioranza dei cittadini di etnia e di lingua italiana dai territori colpiti dagli eccidi. Quegli stessi appartenevano al Regno d’Italia, ma sono poi stati occupati. Prima arrivò l’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia, poi ci furono i trattati di pace di Parigi del 1947. L’emigrazione fu quindi dovuta sia all’oppressione di un regime totalitario (il comunismo titino), sia al rigetto dei cambiamenti sullo scacchiere europeo.
Ma anche e soprattutto alla vicinanza con l’Italia che fino a poco tempo prima era stata fascista e a sua volta opprimente con le popolazioni che poi si vendicarono col sangue. Lo Stivale rappresentò un rifugio per molti esuli spaventati e impauriti, anche se all’epoca il governo italiano si adoperò per fermare, o almeno contenere, l’esodo. Dopo le foibe si stima che furono tra i 250 e i 350mila i giuliani, quarnerini e dalmati che si trasferirono in Italia tra il 1945 e il 1956.
Con la legge numero 92 del 30 marzo 2004 si istituì il Giorno del ricordo, che commemora appunto i massacri delle foibe e l’esodo giuliano dalmata. A quel giorno è associato il rilascio di una medaglia commemorativa destinata ai parenti delle persone soppresse e infoibate in Istria, a Fiume, in Dalmazia o nelle province tra il 1943 e il 1947.
Il giorno prescelto è il 10 febbraio perché coincide con il trattato di pace di Parigi. Quel documento assegnava alla Jugoslavia l’Istria, il Quarnaro, la città di Zara con la sua provincia e la maggior parte della Venezia Giulia. La quale, in precedenza, faceva parte dell’Italia.
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