Si scrive come una “e” capovolta, si pronuncia con un suono indistinto e si legge nei testi di scrittori e attivisti LGBTQ. Stiamo parlando dello schwa, un suono che si trova nel mezzo del quadrilatero delle vocali e corrisponde alla vocale media per eccellenza, utilizzato per rivolgersi a una moltitudine di persone, senza distinzioni di genere, incluse le persone non binarie.
Lo si incontra sempre più spesso. In alcune pubblicità, in una graphic novel di Zerocalcare, nei saggi della casa editrice Effequ e persino nelle comunicazioni dell’amministrazione comunale di Castelfranco Emilia. Per esprimere questo concetto, gli inglesi usano il “singular they“, gli spagnoli la chiocciola e gli svedesi hanno persino inventato un nuovo pronome, “hen“.
Ma lo schwa fa discutere e divide l’opinione pubblica tra sostenitori e detrattori. L’ultima occasione di dibattito risale proprio a pochi giorni fa, quando la giornalista Flavia Fratello ha letto, incespicando, un articolo di Michela Murgia, costellato di schwa. Ma che cos’è esattamente lo schwa? E perché utilizzarlo?
Come spiegato in precedenza, lo schwa si pone nel mezzo del quadrilatero delle vocali e si pronuncia con un suono indistinto. Quando pronunciamo tutte le altre vocali, abbiamo bisogno di deformare la bocca in qualche modo. Lo schwa si colloca esattamente al centro e si pronuncia con la bocca a riposo. Si tratta dello stesso suono che emettiamo quando non sappiamo cosa rispondere ed è presente in molti dialetti italiani, specialmente del sud Italia.
Lo schwa è rappresentato da una piccola “e” capovolta, è di genere maschile ed è un simbolo dell’alfabeto fonetico internazionale, l’AFI. Si tratta di un alfabeto che permette ai linguisti di mettere per iscritto tutti i suoni di tutte le lingue parlate dagli esseri umani al mondo. “Un alfabeto potentissimo“, come lo ha definito Vera Gheno, sociolinguista e accademica, tra le prime a proporre l’utilizzo dello schwa nella lingua italiana.
Ma perché utilizzarlo? Lo schwa viene dal tedesco, che a sua volta lo eredita dall’ebraico, e vuol dire “nulla”, “niente” o “zero”. Diversi linguisti lo considerano una soluzione efficace per ovviare a un problema strutturale della lingua italiana, ovvero quello di rivolgersi a una moltitudine mista, senza escludere le persone non binarie. Le persone non binarie sono le identità di genere che non si riconoscono nei generi maschile e femminile. Per ovviare a questo problema, in molti contesti LGBTQ e collettivi femministi, si è iniziato a usare tutta una serie di simboli, come l’asterisco, la chioccola, l’apostrofo, la “u”, la “y” e così via.
Difficile da pronunciare, assente nelle tastiere dei pc e potenzialmente problematico tra le persone anziane e i soggetti con dislessia, lo schwa può contare anche su innumerevoli detrattori. L’utilizzo di questo segno grafico rappresenta infatti per una lingua come l’italiano, dalla radicata e antica tradizione scritta, una rivoluzione morfologica, difficile da attuare, ma non impossibile, come dimostra la versatilità del linguaggio e la sua capacità di adattarsi ai cambiamenti. Se lo schwa troverà un terreno fertile, è ancora presto per dirlo. Saranno le persone e la loro scelta di avvalersene a dare o negare una possibilità a questo segno grafico.
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