Da quando il coronavirus ha fatto irruzione nella nostra vita, si è parlato molto di “resilienza“. Resilienza dei sanitari in prima linea, nonostante i reparti al collasso, resilienza dei commercianti, che lottano per tenere aperte le attività, resilienza dei cittadini che vanno avanti, nonostante tutto. Il vocabolo “resilienza” è diventato così inflazionato da comparire persino nel programma stilato da Giuseppe Conte nell’ottica del Recovery Fund, il PNRR: il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Ma cosa significa esattamente “resilienza”? E perché sta godendo di tanta fortuna in questo periodo storico?
La parola appare per la prima volta in italiano nel XVIII sec. col significato generico di capacità dei corpi di rimbalzare. L’accezione è legata alla sua origine latina: il verbo latino resilire, composto da re + salire, quindi “tornare indietro”. Il vocabolo inizia a circolare e si consolida soprattutto in ambito scientifico. Il balzo dal settore tecnico-scientifico alla larga diffusione è avvenuto negli anni Dieci di questo secolo, quando il nuovo e seducente vocabolo ha fatto la sua apparizione su canali social e tradizionali mezzi stampa.
Nella meccanica con “resilienza” si intende la capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi. La metafora è dunque ben più semplice di quanto possiamo immaginare. Essere resilienti significa assorbire i colpi, le sventure e le difficoltà che la vita ci pone dinnanzi, senza frantumarci in piccoli pezzi. Significa cadere e rialzarsi. Significa non arrendersi e reagire di fronte a un trauma, un lutto, una perdita. E quale “miglior” periodo di una pandemia mondiale per esperire sulla propria pelle cosa significhi essere resilienti?
Ai tempi del Coronavirus, la resilienza è anche sociale, è la capacità della società di reagire di fronte a una minaccia globale. Quando durante il primo lockdown il mondo intero si fermò a osservare quanto accadeva in Italia, in tanti parlarono della resilienza del popolo italiano. Cantando, ballando e suonando dai balconi, mentre i reparti ospedalieri erano al collasso, mentre le bare sfilavano tra le strade di Bergamo, gli italiani avevano mostrato la loro fibra, la loro capacità di reagire di fronte al più tragico degli eventi. Naturalmente, la parola “resilienza” va ben oltre il fenomeno da balcone: è la corsa al vaccino, è la capacità di ripensare gli spazi per renderli vivibili in pandemia, è la scelta di tenere aperte le scuole e i teatri, è tutto quanto ci ha permesso di reagire negli ultimi due anni di emergenza sanitaria.
Questa parola, tanto inflazionata (e in alcuni casi abusata), racchiude in sé tanti significati diversi. Dalla meccanica, alla psicologia, la parola resilienza appare spesso anche in ecologia, in riferimento al comportamenti di certe specie animali e vegetali rispetto all’ambiente in cui vivono. Tra gli esempi oggi più citati, a provare la presenza della resilienza in natura, “ci sono le piante, quelle che crescono su pendii franosi, gli arbusti sulle coste rocciose mediterranee“, evidenzia l’enciclopedia Treccani. In ambito finanziario, invece, la resilienza è la “capacità di tutelarsi con mezzi assicurativi con l’obiettivo di resistere meglio a eventi imprevisti“, precisa Treccani.
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