C’è una città che nelle ultime settimane è finita sulle prime pagine di giornali del calibro di New York Times, Financial Times e CNN per il suo lato artistico.
Non è Firenze, non è Venezia e nemmeno Roma. Ma Brescia.
La cittadina lombarda, compresa tra il Lago d’Iseo e il lago di Garda, vanta ben tre siti Patrimonio Unesco, pur non riuscendo a ottenere la stessa attenzione turistica delle vicine Verona e Milano. Ma ultimamente, grazie alle sue iniziative, la città è finita sulle principali pagine dei giornali nazionali e internazionali, aprendo anche un dibattito con Pechino.
Verrà inaugurata domani, 13 novembre, al Museo Santa Giulia di Brescia, la mostra “La Cina (non) è vicina. Opere di un artista dissidente”. Protagonisti Zehra Dogan, l’artista curda rinchiusa per tre anni nelle carceri turche a causa delle sue opere di denuncia, e Badiucao.
Considerato una sorta di “Banksy cinese” l’artista trentacinquenne di Shanghai, al pari del collega britannico ha tenuto a lungo celata la sua identità. Non come marchio artistico ma per evitare problemi con le autorità cinesi. Da anni, critico contro il partito comunista cinese, Badiucao pubblicava i suoi disegni su twitter per aggirare la censura. Nel 2020 la Human Rights Foundation gli ha attribuito il Vaclav Havel Prize for Creative Dissent, riservato ad artisti che smascherano le menzogne delle dittature.
La mostra, visitabile fino al 13 febbraio 2022, prevede un percorso espositivo che punta a smascherare la rigida censura cinese. Gli spettatori potranno ammirare opere come il “Tank Man” omaggio all’uomo di piazza Tienanmen, ma anche caricature di Xi Jinping che dà la caccia all’orso Winnie The Pooh. Presenti anche “Diari di Wuhan”, un documento eccezionale sui cento giorni di lockdown nella città, primo epicentro della pandemia.
La mostra verrà inaugurata domani, ma la sua apertura non era così scontata come potrebbe sembrare. Non solo si tratta della prima mostra in Occidente di un artista che è riuscito attraverso le immagini a raccontare le contraddizioni del Partito comunista cinese. Ragione per la quale è costretto all’esilio in Australia da più di dieci anni e fino al 2019 anche all’anonimato. Ma soprattutto, racconta in maniera diretta il modo di agire di Pechino, abituato ad esportare la censura quando questa minaccia l’immagine del partito.
Non sorprende quindi, che, quando uscì sul Giornale di Brescia, l’annuncio della mostra in Cina scattò un allarme che mobilitò per un attimo, una delle nazioni più potenti al mondo contro la cittadina di 200 mila abitanti.
Tre giorni dopo l’annuncio della mostra, venne inviata al Comune una lettera dai toni molto duri, che sottolineava quanto le opere fossero “piene di bugie anti-cinesi, distorcono i fatti, feriscono i sentimenti del popolo cinese” e persino “mettono in pericolo le relazioni tra Cina e Italia”.
La replica del Comune di Brescia e di Fondazione Brescia Musei non si è fatta attendere. Pochi giorni dopo il sindaco Emilio Del Bono e la presidente di Brescia Musei hanno inviato all’ambasciata una lettera chiarendo la loro posizione. Nella lettera, spiegano, la mostra non intende “mettere in cattiva luce la Cina o il popolo cinese“, ma è piuttosto dedicata “all’arte contemporanea nella sua correlazione con la libertà di espressione”.
Non è la prima volta che la cittadina finisce alla ribalta sui giornali esteri. Poche settimane fa, l’iconico New York Times dedicò un editoriale a Brescia, definendola una delle città “più sottovalutate d’Italia”.
Lo spunto partiva da una statua, la Vittoria Alata, tornata, dopo un lungo restauro, ad essere esposta al pubblico. Identificandola come simbolo di una ripartenza per una delle città italiane più colpite dalla pandemia. Emblema della rinascita di un’”operosa città del nord”, spesso trascurata, ma non meno degna di essere visitata.
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