Il termine brain rot non è un’invenzione moderna, ma compare per la prima volta nel celebre libro Walden (1854) di Henry David Thoreau, filosofo e scrittore americano. L’autore utilizzava l’espressione per criticare la tendenza della società a semplificare eccessivamente le idee complesse, un fenomeno che lui vedeva come segno di un declino generale dell’impegno intellettuale
Il termine brain rot è stato scelto come parola dell’anno per il 2024 dall’Oxford English Dictionary. Tradotto letteralmente come “cervello marcio“, questa espressione descrive un fenomeno che molti considerano un serio effetto collaterale dell’iperconnessione digitale: il deterioramento intellettuale e psicologico causato dall’esposizione continua a contenuti online di bassa qualità.
Il termine brain rot non è un’invenzione moderna, ma compare per la prima volta nel celebre libro Walden (1854) di Henry David Thoreau, filosofo e scrittore americano. L’autore utilizzava l’espressione per criticare la tendenza della società a semplificare eccessivamente le idee complesse, un fenomeno che lui vedeva come segno di un declino generale dell’impegno intellettuale. Tuttavia, oggi brain rot ha acquisito una nuova connotazione, legata strettamente al mondo digitale e all’utilizzo dei social media.
Nel contesto contemporaneo brain rot viene usato per descrivere il presunto deterioramento mentale che colpisce le persone esposte per ore a contenuti superficiali e spesso inutili sui social. Questo termine è diventato popolare soprattutto tra le generazioni più giovani, come la Gen Z e la Gen Alpha, ed è frequentemente utilizzato per descrivere quella sensazione di “stanchezza mentale” che si prova dopo aver trascorso troppo tempo su piattaforme come TikTok, Instagram o YouTube, scrollando in modo automatico.
L’Oxford University Press ha registrato un aumento esponenziale dell’uso del termine, con una crescita del 230% tra il 2023 e il 2024. Il termine è diventato virale sui social media, dove viene utilizzato anche per descrivere video privi di contenuti significativi.
Il professor Andrew Przybylski, psicologo presso l’Università di Oxford, ha sottolineato che il termine esprime un malessere crescente rispetto all’influenza dei contenuti online sulla nostra vita. Przybylski ha affermato che la parola “descrive la nostra insoddisfazione e le nostre ansie nei confronti del mondo digitale” e che la sua diffusione testimonia il crescente disagio legato all’uso delle tecnologie e alla cultura dei social media.
Anche Casper Grathwohl, presidente di Oxford Languages, ha commentato: “Brain rot parla di uno dei pericoli percepiti della vita virtuale e di come stiamo usando il nostro tempo libero. Costituisce uno dei capitoli da affrontare nel dibattito culturale sul rapporto tra umanità e tecnologia”. Secondo Grathwohl l’elezione di questo termine come parola dell’anno riflette una crescente preoccupazione per l’influenza dei social media sulla nostra vita quotidiana. Secondo Grathwohl non è un caso che brain rot sia stata scelta proprio in un momento storico in cui l’interazione con contenuti digitali è diventata centrale in ogni aspetto della nostra esistenza.
Lo psicologo Michael Rich in un’intervista al New York Times ha dichiarato che i suoi pazienti usano il termine brain rot per descrivere l’effetto dell’eccessivo tempo trascorso in rete, affermando: “La consapevolezza si sposta sullo spazio online rispetto a quello reale. Tutto viene filtrato attraverso la lente di ciò che è stato pubblicato e di ciò che può essere pubblicato“.
Oltre a “brain rot” ci sono altre parole diventate virali sui social, tra questi:
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