I Dpcm del governo e le ordinanze delle Regioni stanno dividendo l’Italia per zone, come ormai è ampiamente noto all’intera cittadinanza. La zona rossa, quella arancione e quella gialla sono il frutto di un algoritmo, basato su “21 indicatori“ al vaglio dell’Istituto Superiore di Sanità, che poi li gira al ministero della Salute e quindi alla Presidenza del Consiglio. Ma cosa determina esattamente la fatidica suddivisione? A questa domanda arriva finalmente una risposta.
Lo studio dell’Osservatorio CPI e i primi dubbi
A darla è l’Osservatorio CPI, che si è basato sulla documentazione ufficiale degli enti coinvolti (Presidenza del Consiglio, Ministero della Salute e ISS). Il risultato è stato pubblicato su ‘Repubblica’, in un articolo a firma Carlo Cottarelli, Giulio Gottardo e Stefano Olivari. E in cui si può leggere una ricostruzione sui parametri che determinano se una Regione deve essere considerata zona rossa o meno.
Si tratta di una “ricostruzione” e non di una tabella dai dati certi e incontestabili. Perché, spiegano gli autori dell’articolo, “il sistema adottato è complicato” e “la documentazione ufficiale è dispersiva“. Ecco perché si ritiene tutt’altro che sorprendente che “ci siano stati vari appelli per una maggior trasparenza nel processo” che determina se una Regione sia in zona rossa, arancione o gialla.
I tre sottoinsiemi dei 21 indicatori
I 21 indicatori utilizzati per la “colorazione” delle aree territoriali sono a loro volta suddivisi in tre sottoinsiemi. Il primo riguarda la “capacità di monitoraggio“, cioè la qualità dei dati e dei sistemi di sorveglianza. Il secondo verte sulla “capacità di accertamento diagnostico, indagine e gestione“. Ossia l’abilità del sistema di testare tempestivamente i casi sospetti e di garantire risorse adeguate per il contact-tracing, isolamento e quarantena. Il terzo si occupa della “trasmissibilità dei contagi e la tenuta dei servizi sanitari“. Quest’ultimo aspetto, fondamentale per determinare una zona rossa, riguarda l’eventuale livello di sovraccarico di ospedali, cliniche e pronto soccorso.
Il ministero della Salute raccoglie tali valori “almeno settimanalmente” tramite il cosiddetto “Rapporto sul monitoraggio della pandemia“. Ogni indicatore presenta una soglia di sicurezza, che se superata provoca una colorazione più intensa per la Regione di riferimento (con il progressivo spostamento da zona gialla, a arancione e quindi zona rossa). La valutazione dei rischi parte dalla “capacità di monitoraggio“, con una “allerta” che scatta al di sotto del 60%. Nell’articolo si sottolinea come non sia chiaro perché sia proprio questa la soglia (e non, magari, il 70 o il 90%).
Zona rossa: oltre che la trasmissione, incide l’impatto
Solo se questi primi indicatori sono attendibili, si procede all’analisi dei successivi. Che sono “fondamentali per classificare ogni Regione, secondo due dimensioni“. Oltre alla “probabilità di infezione/trasmissione“, incide fortemente anche il cosiddetto “impatto“. Si tratta della “gravità della patologia con particolare attenzione a quella osservata in soggetti con età superiore ai 50 anni“. Quindi una zona rossa o magari gialla può dipendere non solo dal numero dei contagi, ma anche del danno che il Coronavirus effettivamente procura alla cittadinanza.
Entrambe le dimensioni possono assumere quattro valori: molto basso, basso, moderato, alto. Una prima classificazione delle regioni, in termini di “rischio“, avviene incrociando il valore delle due dimensioni. Quindi una Regione che ha una probabilità “bassa” e un impatto “alto” è classificata come a “rischio moderato“. Una regione che ha una probabilità “alta” e impatto “moderato” è classificata come a “rischio alto“. Questo, tuttavia, non è ancora sufficiente a determinare una zona rossa.
Gli ultimi parametri per determinare una zona rossa
Per farlo bisogna partire dai casi rilevati nella Regione di riferimento nei 5 giorni precedenti. Quindi si studia la “trasmissione“, sulla base del numero di aumento dei casi, aumento dei focolai e indice Rt superiore a 1. Se la “trasmissione” è in aumento si passa agli indicatori sulla “capacità di accertamento diagnostico“. Se tale capacità non è garantita, si passa ad analizzare l’impatto e il sovraccarico dei servizi sanitari. Quindi, in base a tutti questi dati, ecco l’esito finale poi fissato dal governo per decreto. Con decisione sulla zona rossa, arancione e gialla.
- Rossa, se il rischio è alto e l’Rt maggiore di 1,5;
- Arancione, se il rischio è alto e l’Rt compreso tra 1,25 e 1,5;
- Gialla, in tutti gli altri casi.