Gli attivisti di Ultima Generazione hanno protestato occupando la Roma-Civitavecchia, aderendo le mani all’asfalto con mastice. Tale atto simbolico è un richiamo contro l'”immobilismo dei governi”, sottolineando la necessità di istituire un fondo di riparazione per danni ambientali. A seguito del blocco sono scaturiti momenti tesi con automobilisti, e gli attivisti hanno documentato su social media un episodio in cui un conducente, dopo aver cercato di farli spostare, ha rischiato di investirli nel ripartire. Insomma, le violenze nei confronti degli attivisti non solo continuano ad esserci, ma addirittura aumentano, e i numeri iniziano a essere preoccupanti.
Nella mattinata di ieri, lunedì 4 dicembre, Ultima Generazione ha occupato la strada Roma-Civitavecchia a Torrimpietra, bloccando il traffico e mostrando striscioni con messaggi come “Servono miliardi per riparare i danni delle catastrofi“. Gli attivisti hanno focalizzato la protesta sui cambiamenti climatici, chiedendo al governo la creazione di un fondo di riparazione. Per dare più impatto alla manifestazione, alcuni partecipanti hanno incollato le mani sull’asfalto usando una particolare sabbia, complicando l’intervento delle forze dell’ordine chiamate a ripristinare la circolazione.
“Se una persona si incolla alla strada viene chiamata folle, ma una manciata di persone sta condannando il nostro futuro. E noi vogliamo riprendercelo“, ha dichiarato uno degli attivisti pro-clima, come riportato da FanPage. “Un mese fa ero a Campi Bisenzio a spalare il fango dell’alluvione. Un signore che stavo aiutando era quasi in lacrime vedendo che la sua bicicletta era ancora integra. Il governo non ha fatto nulla per prevenire l’alluvione e le compagnie petrolifere continuano ad estrarre come se avessimo mille mondi a disposizione, mentre il nostro domani brucia“, ha aggiunto un altro.
La reazione degli automobilisti agli attivisti è stata immediata, stanchi di subire le incursioni degli attivisti. Purtroppo, questa mattina, la situazione si è surriscaldata a tal punto che le conseguenze rischiavano di essere irreparabili. Un automobilista, cercando di far spostare alcuni ragazzi seduti a terra, è ripartito rischiando quasi di investire un ragazzo e una ragazza. La calma è stata ristabilita dalla polizia di Stato, intervenuta dopo circa 30 minuti dalla protesta iniziata alle 9.20. Gli agenti hanno identificato gli attivisti, conducendoli poi in commissariato.
Dal 2012, Global Witness monitora gli omicidi di difensori della terra e dell’ambiente, e un rapporto pubblicato oggi dall’ONG internazionale evidenzia un “quadro tenebroso, con prove che indicano che, con l’aggravarsi della crisi climatica, la violenza contro coloro che difendono la loro terra e il nostro pianeta persiste“. La ricerca ha identificato che “Un totale di 1.733 persone sono state uccise negli ultimi dieci anni, corrispondente a una persona uccisa ogni due giorni“.
Il rapporto “Decade of defiance” evidenzia che “Il controllo e l’utilizzo della terra e del territorio rimangono questioni cruciali nei Paesi in cui i difensori affrontano minacce. Molte delle crescenti uccisioni, violenze e repressioni sono connesse ai conflitti territoriali e alla ricerca di crescita economica basata sull’estrazione di risorse naturali“. Le prove presentate da Global Witness indicano anche che i dati sugli omicidi potrebbero non riflettere appieno la dimensione del problema: “In alcuni Paesi, la situazione dei difensori ambientali è difficile da valutare a causa delle restrizioni sulla libertà di stampa e della mancanza di monitoraggio indipendente, portando spesso a una sottovalutazione. Anche le dispute territoriali e i danni ambientali possono essere complessi da monitorare in regioni del mondo colpite da conflitti“.
La ricerca ha rivelato che “Pochi responsabili degli omicidi affrontano la giustizia a causa dell’incapacità dei governi di condurre indagini adeguate su questi crimini. Molte autorità ignorano o ostacolano attivamente le indagini su tali omicidi, spesso a causa di presunte collusioni tra interessi aziendali e statali“. Un portavoce di Global Witness ha dichiarato che “In tutto il mondo, popoli indigeni, attivisti ambientali e altri difensori del territorio e dell’ambiente rischiano la vita nella lotta contro i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità. Svolgono un ruolo cruciale come prima linea di difesa contro il collasso ecologico, ma sono essi stessi sotto attacco attraverso violenze, criminalizzazioni e molestie perpetrate da governi e aziende repressive che privilegiano il profitto rispetto al danno umano e ambientale. In un contesto di democrazie sempre più sotto attacco a livello globale e del peggioramento delle crisi climatiche e della biodiversità, questo rapporto mette in luce il ruolo fondamentale dei difensori nella risoluzione di tali problematiche e lancia un appello urgente a sforzi globali per proteggerli e ridurre gli attacchi nei loro confronti“.
I dati del rapporto indicano che nell’ultimo decennio più della metà degli attacchi mortali contro ambientalisti e difensori della Terra si sono verificati in Brasile, Colombia e Filippine. Nel 2021, Global Witness ha registrato l’uccisione di 200 difensori della terra e dell’ambiente, quasi quattro persone a settimana, e sottolinea che “Questi attacchi letali persistono nel contesto di una più ampia gamma di minacce contro i difensori, che sono presi di mira da governi, imprese e altri attori non statali attraverso violenze, intimidazioni, campagne diffamatorie e criminalizzazione. Questo si verifica in ogni regione del mondo e in quasi tutti i settori“. Nel 2021, il Messico è stato il Paese con il maggior numero di omicidi registrati, con difensori uccisi ogni mese, totalizzando 54 omicidi rispetto ai 30 dell’anno precedente. Oltre il 40% delle persone uccise erano indigene e più di un terzo del totale si è trattato di sparizioni forzate, tra cui almeno 8 membri della comunità Yaqui.
Mentre il Brasile e l’India hanno entrambi registrato un aumento degli attacchi letali, rispettivamente da 20 a 26 e da 4 a 14, sia la Colombia che le Filippine hanno registrato un calo delle uccisioni, rispettivamente a 33 nel 2021 dalle 65 del 2020 e 19 nel 2021 rispetto a 30 dell’anno prima, ma nel complesso rimangono due dei Paesi con il più alto numero di omicidi al mondo dal 2012. Oltre i tre quarti degli attacchi registrati contro gli ambientalisti sono avvenuti in America Latina. In Brasile, Perù e Venezuela, il 78% degli attacchi è avvenuto in Amazzonia. Global Witness ha documentato 10 omicidi in Africa, dove la Repubblica Democratica del Congo è il Paese con il maggior numero di attacchi mortali: con 8 difensori uccisi nel 2021 nel Parco Nazionale di Virunga, che rimane estremamente pericoloso per i ranger del parco che lo proteggono. Ma “La verifica dei casi in tutto il continente continua a essere difficile ed è possibile che i casi non siano ampiamente segnalati“.
Laddove è stato possibile identificare un settore, poco più di un quarto degli attacchi letali è stato collegabile allo sfruttamento delle risorse – disboscamento, estrazione mineraria e agrobusiness su larga scala – e dighe idroelettriche e altre infrastrutture. Ma l’ONG avverte che “Tuttavia, è probabile che questa cifra sia più alta poiché le ragioni alla base degli attacchi ai difensori dell’ambiente e della Terra spesso non vengono adeguatamente indagate né segnalate. Nella maggior parte dei casi in cui non è stato possibile identificare un settore, i conflitti territoriali sono risultati essere un fattore chiave degli attacchi contro i difensori”. Tuttavia, in molti casi non vengono riportati i motivi economici alla base della violenza legata alla terra. L’estrazione mineraria è stato il settore legato al maggior numero di omicidi con 27 casi – con la maggior parte degli attacchi in Messico (15), seguito da Filippine (6), Venezuela (4), Nicaragua (1) ed Ecuador (1).
Nel 2021 è continuato ancora una volta il numero sproporzionato di attacchi contro le popolazioni indigene, con oltre il 40% di tutti gli attacchi mortali contro le popolazioni indigene, nonostante costituiscano solo il 5% della popolazione mondiale. Questi sono stati documentati principalmente in Messico, Colombia, Nicaragua, Perù e Filippine.
Global Witness ha registrato 12 omicidi di massa, di cui 3 in India e 4 in Messico. In Nicaragua, gruppi criminali hanno massacrato 15 indigeni e difensori dei diritti alla terra nell’ambito di violenze sistematiche e diffuse contro i popoli indigeni Miskitu e Mayangna.
Il rapporto fa notare che “50 delle vittime uccise nel 2021 erano piccoli agricoltori, evidenziando come l’incessante mercificazione e privatizzazione dei terreni per l’agricoltura industriale stia mettendo sempre più a rischio i piccoli agricoltori poiché gli accordi fondiari ignorano i diritti di proprietà locale. L’agricoltura familiare su piccola scala, da cui dipende ancora la maggior parte dei poveri delle zone rurali del mondo, è minacciata dalle piantagioni su larga scala, dall’agricoltura guidata dalle esportazioni e dalla produzione di beni di prima necessità rispetto al cibo“.
Circa 1 su 10 dei difensori uccisi nel 2021 erano donne, quasi due terzi delle quali erano indigene. Global Witness spiega che “La violenza di genere radicata nella misoginia e nelle norme discriminatorie di genere è usata in modo sproporzionato contro le donne che difendono l’ambiente e i diritti umani per controllarle e metterle a tacere e sopprimere il loro potere e autorità come leader”.
Global Witness chiede che le imprese e i governi siano ritenuti responsabili della violenza contro i difensori della terra e dell’ambiente, le persone che stanno in prima linea nella crisi climatica. È necessaria un’azione urgente a livello regionale, nazionale e internazionale per porre fine alla violenza e all’ingiustizia che devono affrontare.
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