Un’emorragia senza fine. Nel 2022 la popolazione italiana è scesa sotto la soglia dei 59 milioni di abitanti, a quota 58.955.201 residenti, circa 33mila in meno rispetto all’anno precedente. A certificare il nuovo record negativo è il censimento dell’Istat, che fotografa un Paese in inesorabile scomparsa e sempre più anziano. A temperare, solo in parte, la flessione sono stati gli immigrati, in crescita del 2,2% rispetto al 2021. Il Paese “perde popolazione e invecchia nonostante il contributo degli stranieri”, è il commento dell’istituto di statistica.
Gli italiani fanno sempre meno figli. Quasi 7mila nascite in meno rispetto al 2021 (-1,7%), e ben 183mila in meno (-31,8%) rispetto al 2008, anno in cui il numero dei nati vivi ha segnato il valore più alto dall’inizio degli anni Duemila. I nati residenti in Italia sono 393mila nel 2022, con un tasso di natalità del 6,7 per mille. I nati da genitori entrambi stranieri sono 53mila e costituiscono il 13,5% del totale dei nati. L’incidenza è più elevata nelle regioni del Nord (19,3%) dove la presenza straniera è più radicata e, in misura minore, in quelle del Centro (15,1%). Nel Mezzogiorno è invece inferiore (5,4%). I nati da genitori in cui almeno uno dei partner è straniero (20,9% del totale dei nati) continuano a decrescere nel 2022, attestandosi a 82mila unità.
La diminuzione delle nascite, spiega il report dell’Istat, è in gran parte riconducibile al calo della popolazione femminile nell’età convenzionalmente considerate riproduttive (tra i 15 e i 49 anni), oltre che dalla continua diminuzione della fecondità. Nel 2022 il numero medio di figli per donna è pari a 1,24, in lieve calo rispetto all’anno precedente (1,25) e in linea con il trend decrescente in atto dal 2010, anno in cui si è registrato il massimo relativo di 1,44 figli per donna. La maglia nera va al Centro, che presenta la fecondità più bassa, pari a 1,15 figli per donna: era 1,19 nel 2021.
Il Nord e il sud registrano nel 2022 un uguale livello di fecondità (1,26), risultato di due variazioni opposte rispetto all’anno precedente: un calo nel primo caso (da 1,28 nel 2021) e un aumento nel secondo (da 1,25). Nel Nord, dove la fecondità negli anni Duemila era aumentata, i livelli di fecondità continuano la loro discesa. Al contrario, il Mezzogiorno presenta nell’ultimo anno un lieve aumento, dovuto a un recupero di progetti familiari rinviati dal biennio pandemico.
Il massimo valore di fecondità (1,64) lo registra nella provincia autonoma di Bolzano mentre la Sardegna continua a detenere il valore minimo (0,95). Per il totale delle donne residenti, l’età media al parto rimane stabile rispetto al 2021, pari a 32,4 anni, mentre l’età media alla nascita del primo figlio si attesta a 31,6 anni. L’età media al parto è più alta nel Centro e nel Nord (32,8 e 32,5) rispetto al Mezzogiorno (32,0), con Basilicata (33,1) e Sardegna fanalino di coda (32,9). “Queste ultime – spiega l’Istat – registrano anche il più basso tasso di fecondità, la cui diminuzione è legata anche alla continua posticipazione dell’esperienza della maternità che si tramuta sempre più in una definitiva rinuncia”.
L’Italia è sempre più anziana. Per ogni bambino con meno di 6 anni, ci sono più di 5 anziani (il 5,6%). L’età media della popolazione è 46,4 anni (47,8 anni per le donne 44,9 anni per gli uomini), un dato in crescita rispetto al 2021, quando era pari a 46,2 anni. In diminuzione, di poco, l’incidenza dei residenti nelle fasce d’età 0-9 anni e 35-49 anni, mentre aumenta quella 55-79 anni.
L’invecchiamento della popolazione riguarda tutto il territorio seppur in misura variabile. La Campania, con un’età media di 43,9 anni (era 43,6 nel 2021), continua a essere la Regione più “giovane” con il Comune di Orta di Atella, in provincia di Caserta, ancora in cima alla classifica con un’età media di 36,9 anni (era 36,6 nel 2021). Di contro la Liguria, con un’età media di 49,5 anni (era 49,4 nel 2021) si conferma quella più “anziana”.
Il progressivo invecchiamento della popolazione è ben evidenziato l’indice di vecchiaia (che misura il numero persone over 65 anni ogni 100 giovani di 0-14 anni), che passa dal 187,6% del 2021 al 193,1% del 2022 (era pari al 148,7% nel 2011).
Le donne rappresentano il 51,2 % della popolazione, 1.367.537 in più degli uomini. Il peso della componente femminile è maggiore man mano che cresce l’età, per via della maggior longevità femminile. Se nelle classi di età più giovani (fino alla classe 35-39 anni) si registra una leggera prevalenza della componente maschile, si raggiunge l’equilibrio tra i sessi nella classe 40-44 e, progressivamente, si rileva una presenza sempre maggiore di donne a partire dalla classe 45-49 che esplode tra i grandi anziani: nella classe 80-84 anni le donne sono il 58,0%, fino ad arrivare al 69,9%, al 77,9% e all’83,3%, rispettivamente, nelle classi 90-94, 95-99 e 100 e più.
Nel 2022 i decessi sono stati 715mila, 342mila (il 48%) dei quali hanno interessato gli uomini e 373mila le donne (il 52%), per un tasso di mortalità complessivo pari al 12,1 per mille. Rispetto all’anno precedente, il dato è in crescita del 2,2%, in linea con il progressivo invecchiamento della popolazione. Il numero più alto di morti si è registrato nei mesi più rigidi, gennaio e dicembre, e nei mesi più caldi, luglio e agosto, per un totale di 265mila decessi, quasi il 40% del totale, dovuti soprattutto alle condizioni climatiche avverse che hanno penalizzato, nella maggior parte dei casi, gli individui più fragili dal punto di vista delle condizioni di salute. Due decessi su tre (oltre 472mila) hanno riguardato anziani con almeno 80 anni (il 74% dei casi per le donne, il 57% per gli gli uomini).
La flessione della popolazione è contenuta solo grazie alla dinamica positiva della popolazione straniera. Gli immigrati censiti nel 2022 sono 5.141.341 (+2,2% rispetto al 2021) con un’incidenza sulla popolazione residente dell’8,7%. Il 58,7% della popolazione straniera censita (circa 3 milioni) vive al Nord.
I matrimoni registrano un lieve aumento. Nel 2022 ne sono stati celebrati 189.140, il 4,8% in più rispetto al 2021 e il 2,7% in più in confronto al 2019, anno precedente la crisi pandemica, durante la quale molte coppie hanno rinviato le nozze). I matrimoni religiosi, pressoché stabili rispetto al 2021 (-0,5%), diminuiscono sensibilmente (-5,6%) rispetto al periodo pre-pandemico. Nei primi otto mesi del 2023, i dati provvisori indicano una nuova diminuzione rispetto allo stesso periodo del 2022 pari al 6,7%.
Nel 2022 il 56,4% dei matrimoni è stato celebrato con rito civile, in continuità con il valore dell’anno precedente (54,1%) e in linea con l’aumento tendenziale osservato negli anni pre-pandemici (52,6% nel 2019). Lo scorso anno le seconde (o successive) nozze hanno sfiorato quota 43mila (quasi il 23% sul totale dei matrimoni), finora il valore più alto mai registrato e in aumento del 12,9% rispetto al 2021.
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