L’Italia è in fondo alla graduatoria europea dell’istruzione. A rilevarlo è il capitolo dedicato alla scuola del report 2021 dell’Istat, l’Istituto nazionale di statistica, sulla situazione del Paese. Il documento è stato presentato questa mattina dal presidente dell’Ente, Gian Carlo Blangiardo, a Montecitorio.
Scuola, il confronto Italia-Ue
Stando alle rilevazioni, nel 2020, in Italia, solo il 62,8% della popolazione compresa tra i 25 e i 64 anni possiede almeno un diploma di scuola secondaria superiore, 16,3 punti percentuali al di sotto della media europea. Fanno peggio solo Portogallo (55,4%) e Malta (57,6%).
La maggior parte delle differenze con la media dei 27 Paesi membri dell’Ue “è imputabile, più che alla quota di diplomati, alla componente di popolazione laureata”, si legge nel report Istat. Infatti, “appena il 20,1% degli individui di 25-64 anni risulta aver conseguito un titolo terziario in Italia, contro il 32,5% in Ue27”.
Lo scoglio universitario
Il valore, continua, “è il prodotto dei più bassi livelli di istruzione delle passate generazioni ma il quadro è critico anche con riferimento al segmento più giovane”. Per i 30-34enni in Italia l’incidenza di diplomati è più alta rispetto alla media europea (46% contro 43%), con punte che riguardano più di un giovane su due tra i maschi del Nord-Est e del Centro.
“Tuttavia – scrive l’Istat – a questo conseguimento del diploma non corrisponde un adeguato completamento del percorso universitario. Nel nostro Paese vi è infatti una minore propensione dei giovani a proseguire con successo gli studi dopo il conseguimento della scuola secondaria superiore”.
Penultimi per laureati
Solo il 27,8% (contro il 40% dell’Ue) dei 30-34enni italiani è laureato. “Siamo al penultimo posto, davanti solo a Romania, una posizione peggiore di quella osservata nel 2008, quando precedevamo Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania”. In 12 anni la crescita dell’incidenza di laureati è stata più lenta rispetto alla media europea (8,6 contro 10,8 punti percentuali).
La distanza dalla media europea è ampia anche per le donne, che pure hanno una maggiore probabilità di laurearsi rispetto agli uomini. Sono infatti al 34,3%, al penultimo posto in Europa con un distacco del -11,9% e un divario di circa 17 punti percentuali rispetto a Francia e Spagna.
Scuola, il divario col Mezzogiorno
Divario “almeno in parte riconducibile alla diffusione, in questi Paesi, dei corsi biennali professionalizzanti, che in Italia sono ancora praticamente assenti nel sistema dell’alta formazione”. I maschi in Italia, con appena il 21,4% di laureati, sono ultimi a meno 14,3 punti dalla media Ue.
La situazione è ancor più critica e in peggioramento nel Mezzogiorno, che presenta differenze contenute per i diplomati ma quote di laureati particolarmente basse. Anche nelle aree in cui l’incidenza di giovani laureati è più alta, la distanza con i coetanei europei è notevole: dieci punti per i maschi del Nord-Ovest e quattro per le femmine del Centro.
La migrazione dei giovani
L’Istat rileva poi che “negli ultimi anni i giovani italiani che hanno trasferito all’estero la residenza sono costantemente aumentati e pochi hanno fatto ritorno. L’emigrazione, se temporanea, può essere un’occasione per arricchire il bagaglio di esperienze di studio o lavoro aumentando le opportunità di crescita dei singoli e della collettività”.
“Al contrario, quando è irreversibile, diventa la spia di un processo di disinvestimento in capitale umano che va a scapito del potenziale di crescita, con una perdita che è tanto maggiore quanto più è elevato il titolo di studio di chi compie la scelta”.
I dati sugli espatri 2008-2020
Nel periodo dal 2008 al 2020 sono ufficialmente espatriati dall’Italia 355mila giovani fra i 25 e i 34 anni, pari a circa il 5,9% della popolazione mediamente residente di questa classe di età. In termini relativi emerge che i tassi di emigrazione e immigrazione sono più elevati per chi possiede bassa (fino a licenza media) o alta (laurea) istruzione rispetto ai diplomati.
Tra coloro che hanno un basso titolo di studio emigrano l’8,5% dei giovani, senza sostanziali differenze di genere che invece sono presenti e ampie tra i laureati. Tra questi quali si spostano all’estero il 9,2% dei maschi contro il 6% delle femmine. I rimpatri di giovani della stessa fascia d’età sono circa 96mila nell’intero periodo 2008-2020.
Scuola ed effetto Brexit
“La differenza tra i rimpatri e gli espatri – sottolinea l’Istat – è rimasta costantemente negativa e determina una perdita complessiva per l’intero periodo di 259mila giovani di cui 93mila giovani con al più la licenza media, di 91mila diplomati e di 76mila laureati”.
Complessivamente, dal 2008 al 2020, le perdite nette sono prevalentemente a favore dei Paesi dell’Unione europea. Un caso a sé è costituito dal Regno Unito, che è la meta preferita dai nostri giovani, indipendentemente dal loro livello di istruzione. “Lo squilibrio tra espatri e rimpatri è aumentato negli ultimi due anni, probabilmente a causa di un effetto Brexit”.
La fuga di cervelli italiani
La perdita netta di giovani italiani diretti verso il Regno Unito dal 2008 al 2020 è di 63mila unità, di cui quasi il 30% di laureati. Un’altra destinazione importante è la Germania, con un bilancio negativo sia per le risorse più qualificate (saldo pari a 11mila) sia soprattutto per quelle con livello di istruzione medio-basso (31 mila).
“Quanto al genere, vi sono differenze che sembrano dipendere dal livello di istruzione e dalla destinazione – conclude l’Ente –. Per le donne il saldo tra trasferimenti e ritorni è relativamente più negativo per le emigrate nel Regno Unito, in Francia e in Spagna”.