Scuola, i piccoli/grandi rischi quotidiani di contaminazione delle “bolle”

Ricordate quando a scuola non c’era l’insegnante e, in assenza di supplenti, la classe veniva divisa in gruppetti “delocalizzati” in altre aule? A tutti è capitato almeno una volta. Ma quella che ai più può sembrare una banalità, in tempo di pandemia è soltanto un lontano ricordo.

Oggi, infatti, il diktat ministeriale è quello di preservare la sicurezza delle cosiddette “bolle”. Ciò significa che – anche ai fini di un eventuale tracciamento – è preferibile evitare contatti fra alunni e insegnanti che non facciano parte di un determinato gruppo classe.

Cosa significa preservare le “bolle” a scuola?

Il concetto di fondo è che, evitando “interferenze” dall’esterno di possibili vettori del virus, in questo modo si riesca a limitare il rischio di diffusione del contagio. Soprattutto nella scuola primaria o dell’infanzia, dove la maggioranza dei bambini non si è ancora vaccinata contro il Covid.

Ma questa è davvero la prassi negli istituti scolastici italiani? Dappertutto si riesce a preservare la sicurezza delle “bolle”? È difficile stabilirlo con certezza, perché alcune scuole non hanno né gli spazi né il personale sufficiente per garantire che non vi siano contatti fra gruppi diversi.

Parla un’insegnante dell’hinterland milanese

Accade ad esempio nell’hinterland milanese, dove una giovane insegnante di scuola primaria, Silvia (nome di fantasia), racconta a Newsby che a volte questa sicurezza è impossibile da garantire. E i rischi, che a volte sono sottovalutati dagli stessi dirigenti scolastici, sono all’ordine del giorno.

Capita ad esempio che nella scuola di Silvia il dirigente mandi un’insegnante a fare supplenza in un’altra classe in caso di assenza di una collega. Deve farlo per via della carenza di organico, atavico problema che gli istituti devono affrontare ad ogni inizio di anno scolastico.

I contatti quotidiani fra docenti e studenti

Come si fa a garantire la tutela della bolla se una docente che non fa parte di quel gruppo classe ne entra in contatto? In questo modo, infatti, sono esposti al rischio di contagio sia i bambinifra i quali il virus circola con sempre maggiore frequenzasia la maestra stessa.

E se emerge un caso di positività fra gli alunni? Sono a rischio quarantena (per cui il Governo ipotizza di cambiare) sia i compagni di classe sia l’insegnante. Con il rischio che questa sia nel frattempo tornata dai “suoi” alunni e possa aver contagiato anche qualcuno di loro.

Se gli alunni sono divisi dal resto della classe

Altro rischio riguarda le divisioni delle classi a cui si accennava all’inizio di questo articolo. Silvia racconta che alcune scuole dell’hinterland sono organizzate con delle attività alternative a tutte le attività che solitamente gli alunni non frequentano, ad esempio le ore di religione.

Nell’istituto dove Silvia insegna, invece, la dirigenza non ha previsto delle ore per attività alternative e chi non frequenta religione (non potendo entrare dopo o uscire prima) deve trascorrere le due ore di lezione in un’altra classe. Dunque, entrando in contatto con un’altra bolla.

La soluzione ideata dalla maestra Silvia

Per ovviare al problema, nella sua classe Silvia ha pensato a una “soluzione”. Ha disposto due banchi – ci racconta – in fondo all’aula, rigorosamente distanziati fra loro e dagli altri, dove i bimbi dell’altra classe possono trascorrere in tranquillità la lezione ad esempio leggendo un libro.

La “fortuna” di Silvia è quella di disporre di un’aula grande e spaziosa, dove il distanziamento è sempre garantito. Ma chi non ce l’ha, cosa deve fare?

Esistono altre soluzioni? Se sì, potete raccontarle scrivendoci all’indirizzo staff@newsby.it.

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