Oggi, venerdì 26 marzo, è stato proclamato in tutta Italia lo sciopero dei rider del food delivery. In una lettera aperta, inviata ai clienti e all’opinione pubblica, i fattorini chiedono di non fare acquisti in segno di solidarietà. La protesta è stata confermata nonostante la firma di un protocollo tra sindacati e aziende del delivery per la legalità, contro il caporalato, l’intermediazione illecita e lo sfruttamento lavorativo nel settore del food delivery. I rider chiedono “un contratto vero e proprio, con tutele reali, concrete garanzie, equità e rispetto del loro lavoro con una retribuzione adeguata. In altre parole, un contratto collettivo nazionale”. “Siamo pedine nelle mani di un algoritmo”, dicono, “eppure siamo considerati lavoratori autonomi. Siamo inseriti in un’organizzazione del lavoro senza alcun potere, eppure non siamo considerati lavoratori dipendenti”.
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È partita dal McDonald’s di via Cavour la protesta dei rider di Firenze, che sono in sciopero, guidati da Yiftalem Parigi, primo sindacalista in Italia per il settore. Una giornata intera senza consegnare cibo per chiedere contratti regolari, disciplinare la categoria, secondo un rapporto di lavoro subordinato. Non tutti hanno aderito alla protesta e alcuni disobbedienti vengono richiamati dai colleghi scioperanti. La partenza dal McDonald’s è simbolica e ha dato il via a una biciclettata lungo le strade del centro, dove i rider hanno suonato i campanelli in segno di protesta.
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“Non è vero che siamo liberi, c’è un algoritmo che controlla tutto, quante consegne facciamo e quali turni abbiamo. Siamo costretti ad accettare tutto questo, altrimenti il nostro lavoro non va avanti. Noi invece dobbiamo avere una regolare contrattazione sindacale“, è la protesta del sindacalista Yftalem Parigi. “Non ho molta fiducia nei rider, abbiamo lottato noi lavoratori. Non mi piace delegare qualcuno, perché anche i sindacati sono complici della mala-politica“, spiega Mattia, rider di 24 anni. Senegalese, Rafel dichiara senza mezzi termini: “Chiediamo diritti, non abbiamo assicurazione, non va bene così. Ho lavorato per anni per Uber e mi hanno solo sfruttato“.
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“Io sono uno studente universitario. Con le ore che mi passa Glovo non riesco neanche a pagare un affitto. Prendo massimo 600 euro al mese. È vergognoso. Voglio avere quello che hanno avuto i miei genitori, cioè un lavoro che mi permetta di vivere. Che mi permetta di vivere da solo“. Così Cristiano, rider di Glovo. “Sono venuto a partecipare alla manifestazione per i diritti dei rider. È stancante, non abbiamo un contratto, tutti i giorni dobbiamo lavorare per la vita. Quando siamo malati non veniamo pagati. Paura del Covid? Sì, dobbiamo avvicinarci ai clienti, entrare nei locali“. Lo ha detto Kaizer, rider di UberEats.
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Nel corso del No delivery day, i riders si sono dati appuntamento in Piazza San Silvestro, a Roma, per rivendicare diritti dalle grandi multinazionali. Contratti e fine del cottimo, sono le priorità dei lavoratori. “In Italia la nostra condizione di lavoro è illegale“, ha dichiarato un manifestante. All’evento presenti anche Stefano Fassina e Giuseppe Provenzano.
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Traffico bloccato a Napoli all’incrocio tra via Medina e piazza Municipio per la manifestazione dei rider partenopei che aderiscono allo sciopero nazionale di categoria. I manifestanti, un centinaio circa, hanno esposto uno striscione con la scritta “diritti, salario e dignità” e acceso alcuni fumogeni.
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E anche a Milano la battaglia dei rider sui diritti non si ferma: oggi, venerdì 26 marzo, la rete nazionale RiderXiDiritti ha proclamato lo stop delle consegne con il #nodeliveryday, invitando i clienti a fare la loro parte rinunciando per una giornata alle chiamate per farsi arrivare a casa pasti o acquisti. E dal capoluogo lombardo si alzano le voci della protesta, durante lo sciopero dei rider. “Serve un contratto vero e proprio. Siamo stati riconosciuti come lavoratori essenziali, e anche i nostri diritti devono esserlo” spiega Angelo della rete nazionale RiderXiDiritti.
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