“Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha ordinato di interrompere la licenza al gasdotto Nord Stream 2. Bene. Benvenuti nel nuovo mondo in cui gli europei molto presto pagheranno 2.000 euro per mille metri cubi di gas naturale“. Con queste chiare quanto minacciose parole, nelle scorse ore, l’ex presidente della Russia Dmitry Medvedev aveva reso ancora più chiaro a tutti quanto pesanti potrebbero essere le conseguenze per Europa (Italia inclusa) dopo l’escalation del conflitto in Ucraina. Con il Vecchio Continente che rischia di essere potenzialmente tenuto in scacco da un partner commerciale fin troppo stretto. Vediamo se è realmente così.
Una prima risposta arriva scrutando il prezzo del gas in data 22 febbraio, proprio quella del post dell’ex presidente della Russia. Ebbene, le quotazioni avevano vissuto un aumento addirittura del 10%. Ma il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, è stato ancora più chiaro. E alla Camera ha ammesso in una informativa che solo da gennaio 2021 il prezzo del gas naturale è più che quadruplicato.
Non va dimenticato che oggi circa il 46% del fabbisogno di gas dell’Europa è coperto dalla Russia. Una ventina di anni fa, tale percentuale si assestava intorno al 30-35%. Ma il prezzo era comunque destinato a crescere anche per un’altra ragione, questa meno drammatica. E legata all’esigenza di ridurre l’inquinamento a livello globale. La Cina, infatti, da uno dei massimi consumatori mondiali di carbone si sta spostando proprio al gas. “Dal 2005 a oggi è passata da 86 miliardi di metri cubi (quanto consuma un Paese come l’Italia) ai 370 del 2021 (il consumo di tutta l’Europa)“, ha osservato Cingolani.
Chiaro che l’interruzione della fornitura di gas da Nord Stream 2 porterebbe a conseguenze che l’Europa e l’Italia dovrebbero affrontare con grande attenzione. Costato 12 miliardi di dollari, il gasdotto sottomarino potrebbe fornire fino a 55 miliardi di metri cubi di gas dalla Russia all’Europa ogni anno. Esattamente come il suo “gemello” già in funzione. Le quote di maggioranza (dieci miliardi) sono in mano a Gazprom, il colosso russo nel mirino di potenziali sanzioni Usa in conseguenza della guerra in Ucraina. L’Italia, oltre al gas russo, può teoricamente contare sul Tap (Trans Adriatic Pipeline) dal Mar Caspio. Ma anche in questo caso bisogna passare dal Cremlino. Che, anche se in maniera indiretta, controlla l’area di produzione e passaggio del gasdotto.
Ma quindi quali sono le possibili soluzioni? Cingolani ne ha inquadrate due. Quella più a lungo termine è sempre la solita: accelerare la transizione ecologica verso il 2030 e le fonti di energia rinnovabili. Tanto che 1,5 gigawatt sono già stati assegnati a fotovoltaico ed eolico. Ma l’Italia dovrà anche diversificare i partner da cui importare la materia prima e soprattutto produrre più gas in casa, sfruttando giacimenti già esistenti sul nostro territorio. “Sono 5 miliardi di metri cubi in più sui 70-80 all’anno del fabbisogno nazionale. Pochi, ma sostituiscono quello importato“, ha spiegato il ministro. Che ora si trova nella situazione di dover rendere l’Italia non più dipendente dalla Russia sul fronte energetico. E farlo in fretta.
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