Nel corso di una cerimonia solenne celebrata nella cattedrale di Agrigento, il giudice Rosario Livatino, ucciso il 21 settembre 1990 dalla mafia, è stato proclamato beato. “Accogliendo il desiderio del cardinale Montenegro, concediamo che il venerabile servo di dio Angelo Rosario Livatino d’ora in poi sia chiamato beato e che, ogni anno, si possa celebrare la sua festa il 29 ottobre”. Sono state queste le parole pronunciate durante la proclamazione. Il reliquiario dov’è contenuta la camicia indossata da Livatino nel giorno della sua morte è stato collocato in una teca della cattedrale.
Le autorità vaticane hanno stabilito che l’omicidio di Rosario Livatino avvenne anche per “odio alla fede”. Il magistrato, infatti, era un cattolico praticante e i mafiosi lo definivano, con spregio, “santocchio”. Nel decreto sul martirio, pubblicato il 22 dicembre 2020, si legge che Livatino era ritenuto inavvicinabile dai suoi persecutori. La sua natura di cattolico praticante lo rendeva “irriducibile ai tentativi di corruzione”. “Dalle testimonianze, anche del mandante dell’omicidio, e dai documenti processuali, emerge che l’avversione nei suoi confronti era inequivocabilmente riconducibile all’odium fidei (“odio alla fede”)”. È proprio per questo che, in un primo momento, i mandanti avevano pianificato l’agguato “dinanzi alla chiesa in cui quotidianamente il magistrato faceva la visita al Santissimo Sacramento”.
La cerimonia di beatificazione di Livatino si è svolta nella cattedrale di Agrigento ed è stata presieduta dal cardinale Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione della Cause dei Santi. La data del 9 maggio non è stata scelta in modo casuale. Richiama, infatti, l’invito perentorio che Giovanni Paolo Secondo rivolse ai mafiosi il 9 maggio 1993: “Convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio!”. Il pontefice pronunciò queste parole nella Valle dei Templi.
“Considerando la vicenda di Rosario Livatino ci tornano vivide alla memoria le parole di San Paolo VI: l’uomo contemporaneo ascolto più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa solo perché sono dei testimoni. Il nostro Beato lo fu nel martirio. La sua vita, avrebbe detto il Manzoni, fu il paragone delle sue parole”, ha dichiarato Semeraro durante la cerimonia. “Credibilità fu per lui la coerenza piena e invincibile tra fede cristiana e vita. Livatino rivendicò, infatti, l’unità fondamentale della persona. Un’unità che vale e si fa valere in ogni sfera della vita: personale e sociale”, ha aggiunto il cardinale. “Questa unità Livatino la visse in quanto cristiano, al punto da convincere i suoi avversari che l’unica possibilità che avevano per uccidere il giudice era quella di uccidere il cristiano. Per questa la Chiesa oggi lo onora come martire”.
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