Non è ancora stata fatta chiarezza sugli ultimi minuti di vita di Carlo Mattia, il neonato morto la sera del 7 gennaio presso l’ospedale Pertini di Roma. L’ipotesi che sia soffocato quando la madre si è addormentata mentre lo allattava non è ancora stata smentita, ma ciò non basta a escludere altri scenari. “Ci sono informazioni che potremo avere solo dall’autopsia. Ancora non sono certa di niente. Ripeto, io lo avevo accanto mio figlio. Poi non l’ho più visto. Non si sa se sia morto soffocato. Come si fa a dirlo prima? Più leggo e più sto male, la mia vita è rovinata. Non sparate sentenze prima dei risultati delle indagini”. Questo appello è arrivato nel corso di un’intervista che la mamma, 29enne, ha rilasciato a Repubblica.
Ma anche ammesso che tutto sia andato come emerso dalle prime ricostruzioni, resta il grave problema che una simile tragedia si sarebbe potuta evitare dando ascolto alle richieste della madre, che aveva più volte ribadito di essere esausta dopo un travaglio di diciassette ore. “Nessuno mi è venuto in soccorso. Mi hanno ignorata”, ha spiegato la 29enne. La sua non è una testimonianza isolata. Anche altri frequentatori dell’ospedale hanno riferito di pazienti abbandonate a loro stesse. “Mia moglie aveva bisogno di alzarsi e non sentiva di avere le forze necessarie. Le è stato risposto che l’infermiera era sola”, racconta un testimone anonimo sull’edizione romana di Repubblica. Un altro marito ha spiegato che la moglie è stata medicata in modo errato da un’infermiera e ha dovuto aspettare un turno intero prima che arrivasse qualcuno a risolvere la situazione.
Per quanto la pratica del rooming-in, che prevede di lasciare il neonato nella stanza stessa stanza della madre, sia sempre più diffusa e incoraggiata per favorire il bonding neonatale, potrebbe essere opportuno evitarla dopo gravidanze lunghe e difficili, proprio per rendere meno probabili tragedie come quella di Roma. Chi è sfinito non ha né le forze né la lucidità necessaria per prendersi cura di un infante e rischia di fargli del male senza volerlo. Il rooming-in andrebbe valutato con attenzione caso per caso, senza imporlo a chi non se la sente.
I risultati dei test tossicologici hanno smentito l’ipotesi che la madre di Carlo Mattia avesse assunto dei farmaci o altre sostanze la notte in cui si è verificata la tragedia. Ora gli inquirenti stanno esaminando vari documenti acquisiti in ospedale, tra cui la cartella clinica della donna, per ricostruire con precisione quanto avvenuto il sette gennaio e valutare se vi siano state delle eventuali negligenze da parte del personale. La procura sta indagando per omicidio colposo, ma per ora il fascicolo aperto rimane contro ignoti.
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