La Pianura padana è la zona più inquinata del Vecchio Continente. Non solo mostra i dati più allarmanti tra i 27 Stati membri ma registra anche il più grave peggioramento della qualità dell’aria negli ultimi anni (2018-2022) a livello comunitario.
Tra le 10 province europee più inquinate otto sono italiane. Quelle con la maggiore concentrazione di particolato fine Pm2.5 nell’aria sono Milano, Cremona e Monza, con valori superiori a 21 milligrammi ogni metro cubo, oltre 4 volte superiori ai limiti stabiliti dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), pari a 5 µg/m³.
Seguono alcune zone della Polonia, che può consolarsi con il generale miglioramento ottenuto negli ultimi anni, a differenza di molte province italiane e di alcuni territori della Grecia e del Portogallo. In particolare, tra il 2018 e il 2022 a Vicenza la concentrazione è aumentata di 2,3 µg/m³ e a Varese di 1,95 µg/m³.
La ricerca condotta sotto la direzione della tedesca Deutsche Welle dallo European data journalism network (sette redazioni, tra cui Open Polis), dimostra che più del 98% della popolazione europea vive in zone dove la concentrazione di Pm2.5 supera i limiti stabiliti dall’Oms.
A confermare che in Pianura Padana l’aria sia irrespirabile c’è il reportage del Guardian. La corrispondente del quotidiano britannico ha raccolto le testimonianze degli abitanti di Crotta d’Adda, un Paese di 600 anime nel Cremonese, costretti a tapparsi in casa a causa dei miasmi che provengono dagli allevamenti intensivi poco distanti. Il fetore sarebbe così forte da causare vomito, difficoltà respiratorie, vertigini, occhi gonfi e mal di testa.
Del resto, com nota lo stesso quotidiano, a rendere “impossibile vivere” nella Pianura Padana non ci sono solo gli allevamenti. A farne la zona più inquinata del Vecchio Continente concorrono parimenti l’industria e lo smog delle automobili.
Nonostante i diversi interventi delle istituzioni comunitarie per ridurre le emissioni, i dati non sono preoccupanti solo per gli italiani. Secondo l’indagine condotta dall’Edjnet, sono solo sette i Paesi europei dove si respira aria con concentrazione di Pm2.5 inferiore alla soglia di 10 µg/m³ in ogni zona: Svezia, Danimarca, Finlandia, Estonia, Malta, Irlanda e Lussemburgo. Nel complesso, sono appena 7,5 milioni le persone che respirano aria con una concentrazione di Pm2.5 inferiore ai 5 µg/m³.
Al contrario in Ungheria e Slovacchia oltre il 99% del territorio presenta una concentrazione di particolato fine superiore ai limiti fissati dall’Oms.
La situazione del nostro Paese è invece molto disomogenea. L’inquinamento atmosferico cambia molto tra le diverse zone della Penisola soprattutto per il diverso livello di industrializzazione e la conformazione del territorio.
Entrambi i fattori, oltre a una densità demografica più alta della media nazionale, influiscono sui dati registrati nella Pianura padana. In quest’area infatti non solo le emissioni inquinanti sono eccessive, ma restano intrappolate nel grande avvallamento padano creando un “effetto serra” che non consente all’aria di circolare. Così il particolato fine e altre sostanze gravemente nocive ristagnano inquinando costantemente l’aria respirata dai cittadini della zona.
In generale, in tutta Italia quasi un quinto della popolazione (oltre 10 milioni di persone) respira aria con una concentrazione di particolato fine superiore ai 20 microgrammi.
Situazione critica anche in Polonia che però registra una quota di popolazione a rischio di gran lunga inferiore, pari al 2,2% del totale (meno di 1 milione di persone).
Secondo l’Oms, l’inquinamento atmosferico è il principale fattore di rischio per la salute in Europa, dato che trova conferma nella valutazione “Air Quality in Europe 2022” dell’Agenzia europea dell’ambiente. Secondo l’Aea, nel 2020 almeno 238mila cittadini europei sono morti prematuramente a causa dell’esposizione al Pm2.5. L’inquinamento atmosferico derivante dall’ossido di azoto ha causato invece 49mila morti premature nell’Unione, mentre altre 24mila sono attribuite all’ozono.
Tra le varie sostanze inquinanti, il particolato è una delle più pericolose. L’esposizione prolungata a questo agente causa danni all’apparato circolatorio e respiratorio e può provocare l’insorgere di patologie del sistema centrale e di quello riproduttivo. Tra quelle più frequenti, ci sono i tumori ai polmoni, le ischemie e gli attacchi cardiaci, ma anche disturbi respiratori cronici come l’asma. La tossicità è ancora più elevata nel caso del Pm2.5, ovvero quello con il diametro più ridotto (2,5 micrometri) rispetto al Pm10, che permette alle particelle di entrare in profondità nei tessuti del corpo umano.
Secondo la Commissione europea l’inquinamento genera un macigno da almeno 330 miliardi di euro l’anno che pesa sui sistemi sanitari del Vecchio Continente.
Ma come si produce il Pm 2,5? Il ministero dell’Ambiente spiega che le cellule di particolato fine sono generate da quasi tutti i tipi di combustione, comprese quelle di “motori di auto e motoveicoli, degli impianti per la produzione di energia, della legna per il riscaldamento domestico, degli incendi boschivi e di molti altri processi industriali”. Oltre alle sue dimensioni che facilitano l’ingresso nel nostro organismo, il particolato fine ha la caratteristica di rimanere sospeso nell’atmosfera a lungo, aumentando la probabilità di nuocere alla salute umana.
L’Oms spiega che ogni anno questo tipo di inquinamento provoca 7 milioni di morti in tutto il mondo. Nonostante le raccomandazioni dell’agenzia delle Nazioni Unite di mantenere la soglia di Pm 2,5 entro i 5 µg/m³, solo il 2% della popolazione europea vive in aree che rispettano i limiti, mentre quasi i due terzi delle persone del continente abita in zone in cui questi valori sono di almeno due volte superiori a quelli raccomandati.
Il dato positivo è che negli ultimi anni a livello europeo si registra un’inversione di tendenza. Tra il 2018 e il 2022 solo quattro Stati membri hanno registrato un aumento di Pm 2.5 nell’aria, Irlanda e Portogallo e, in misura minore, Spagna e Svezia. Mentre in Finlandia e in Italia la concentrazione è rimasta stabile.
Negli altri 21 Paesi europei la concentrazione di particolato fine è diminuita, con i risultati più significativi in Repubblica Ceca (-4,2 µg/m³) e in Polonia (-3,6 µg/m³). Si tratta di un segnale positivo ma ancora insufficiente.
Del resto tra il 2005 e il 2020, il numero di decessi prematuri dovuti all’esposizione a Pm2.5 nell’Ue è diminuito del 45%. Se questa tendenza persiste, l’Unione europea dovrebbe raggiungere l’obiettivo stabilito nel piano d’azione “Inquinamento zero”, che prevede una riduzione dei decessi prematuri del 55% entro il 2030.
Un altro tassello importante nel percorso verso la riduzione dell’inquinamento atmosferico è la nuova direttiva dell’Ue sulla qualità dell’aria approvata pochi giorni dal Parlamento europeo, che fissa valori limite e obiettivi più rigorosi da raggiungere entro il 2035 per diversi sostanze, tra cui particolato (PM2.5, PM10), diossido di azoto, anidride carbonica, anidride solforosa e ozono.
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