Tutte le operazioni militari italiane in Medio Oriente: sono circa 2 mila i nostri soldati che operano nelle aree a rischio
Circa 2mila militari italiani operano nelle aree a rischio del Medio Oriente e la Marina militare è pronta nel caso dovesse essere necessario attivare protocolli di evacuazione. Proprio la presenza dei militari italiani in contesti come quello libanese, dove i nostri soldati sono attivi in ben due missioni, costituisce un deterrente all’espansione del conflitto in corso nel Paese dei Cedri.
Anche l’Iraq è stato un teatro in cui i nostri militari hanno giocato un ruolo importante nel peace keeping necessario a tenere a bada milizie ribelli e consentire la ricostituzione di un apparato statale e la stabilità del Paese, negli anni successivi la caduta del regime di Saddam Hussein. Negli ultimi 10 anni la presenza italiana nel Paese è servita a garantire sostegno nella lotta all’Isis.
Iniziamo con l’operazione di Mibil, Libano (Onu), iniziata l’11 marzo 2015 sotto egida Onu che si colloca nel contesto dell’intervento portato avanti da ‘International Support Group for Lebanon’ (ISG). La missione consta di 190 unità che possono contare anche su un mezzo navale e uno aereo. Obiettivo è fornire supporto al Libano in seguito alle conseguenze socio economiche derivate dal conflitto in Siria, esploso nel 2011.
L’intervento si pone l’obiettivo di mitigare ed evitare ripercussioni sulla stabilità e sicurezza del Paese dei Cedri ed è stato deciso dalla comunità internazionale a sostegno del Paese che, insieme alla Turchia, più di tutti ha subito le conseguenze della guerra in Siria.
Sono tre i principali fini della missione: sostegno ai rifugiati in fuga dal conflitto, interventi per mitigare le ricadute sull’economia e formazione delle forze armate locali.
Proprio in quest’ultima area operativa la Missione Bilaterale italiana ha costituito un centro di addestramento nel sud del Libano, un’area tradizionalmente calda in quanto vicina al confine con Israele.
I corsi, tenuti da istruttori Alpini paracadutisti e Carabinieri, hanno consentito ai militari libanesi di acquisire competenze e accrescere la propria capacità operativa.
Il centro di addestramento italiano continua a svolgere importanti attività di formazione per le forze di sicurezza libanesi (LAF), altra cosa rispetto alle milizie sciite di Hezbollah.
La crescita del LAF mira anche a controbilanciare l’influenza delle stesse milizie sciite, che ad oggi rimangono fuori dall’esercito libanese e mettono a repentaglio la stabilità del Paese.
Le attività sono state condotte dal Comando Operativo di Vertice Interforze, l’Alto Comando della Difesa deputato alla pianificazione, coordinazione e direzione delle operazioni militari, delle esercitazioni interforze nazionali e multinazionali. Unifil Libano (Onu)
Sempre in Libano, sempre sotto l’ombrello delle Nazioni Unite, è in corso la missione Italiana parte di Unifil (United Nations Inter Force in Lebanon), che vede impegnati 10 mila uomini provenienti da 47 diversi Paesi. Nel 2022 la presenza italiana è stata ridotta a 1.169 uomini, 368 mezzi di terra, sette aerei e una nave.
La missione è partita in seguito alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu n.425 del 1978, adottata in seguito all’invasione del Libano da parte di Israele. L’Italia partecipa dal 1979 e la sede del contingente è a Naqoura.
La missione viene periodicamente prorogata, e ha visto anche un mutamento nel corso degli anni degli obiettivi da perseguire, fino alla crisi in corso, che impone un ulteriore ripensamento di regole di ingaggio e aree di operatività.
Negli ultimi 17 anni, tra i compiti svolti figura l’assistenza ai civili, al fine di garantire l’accesso agli aiuti umanitari e un ritorno sicuro agli sfollati.
Se ostacolata nello svolgimento dei propri compiti o in caso di pericolo e minaccia per il proprio personale, civili e operatori umanitari, Unifil può intervenire ‘con la forza’. L’operatività di Unifil, allo stato attuale, si basa sul controllo attraverso check point, monitoraggio e osservazione attraverso postazioni fisse e pattugliamento. Il tutto in coordinamento con le forze armate locali.
Tra la guerra del 2006 e il conflitto scaturito il 7 ottobre scorso, l’area ha vissuto un lungo periodo di stabilità, ma la situazione attuale presenta più di un rischio di esplosione del conflitto e spinge verso un ripensamento delle regole di ingaggio. Una necessità recentemente sottolineata dal governo italiano. Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha dichiarato che “le regole di ingaggio attuali non danno sicurezza ai contingenti”.
La Missione Eunavfor Aspides è stata fortemente voluta dall’Unione Europea che ha raccolto l’invito degli USA per garantire il passaggio sicuro delle navi nel Mar Rosso attraverso una rotta commerciale strategica e contrastare gli attacchi degli Houthi.
La base della missione è in Grecia, a Larissa. La flotta si muove sotto il comando dell’ammiraglio italiano Stefano Costantino, che agisce dal cacciatorpediniere Caio Duilio, dotato di missili capaci di colpire fino a 120 chilometri di distanza e ha già abbattuto un drone yemenita.
Ai comandi dell’ammiraglio italiano ci sono anche una nave tedesca, due navi francesi e imbarcazioni da guerra di altri Paesi europei gradualmente aggiuntesi alla flotta di ‘Aspides’.
Il fine di Aspides è la libera navigazione attraverso una rotta commerciale finita nel mirino degli Houthi yemeniti, milizie sciite alleate di Teheran che con gli attacchi alle navi chiedono la fine delle operazioni militari israeliane su Gaza.
La missione è puramente ‘difensiva’, secondo lo stesso Crosetto; il fine è quello di garantire l’incolumità delle navi e non sono previste operazioni terrestri.
Possono essere abbattuti missili e droni, ma non è consentito colpire obiettivi e postazioni terrestri, un compito che spetta ad americani e britannici.
“Nostra priorità è la protezione del traffico marittimo”, ha detto il ministro degli Esteri Antonio Tajani, che poi ricordato che il 40% dell’export via mare passa per il Canale di Suez. La missione si propone di salvaguardare la protezione delle navi in transito in un’area che include Mar Rosso, Bab el Mandeb, Golfo di Aden, Golfo di Oman e parte del Golfo Persico, ha compiti difensivi” in linea con la Convenzione delle Nazioni unite e il Diritto della navigazione”.
Aspides si affianca a un altra operazione europea cui l’Italia partecipa, ‘Atalanta’, avviata nel 2008 per combattere la pirateria nell’area del Corno d’Africa (Golfo di Aden e bacino Somalo). La missione durerà almeno un anno, con possibile rinnovo previa decisione del Consiglio Ue.
Infine c’è la missione in Iraq per conto di NATO e Onu: i militari italiani sono presenti sul suolo iracheno da circa vent’anni, con l’impegno iniziato nel 2003 con la caduta del regime di Saddam Hussein in seguito all’intervento americano.
Per tre anni sotto egida Onu, 30 mila nostri soldati si sono dati il cambio offrendo sostegno alla missione ‘Antica Babilonia’, il cui ricordo rimane legato alla strage di Nassiriya.
L’Italia è stata anche parte della Training Mission Iraq, svolta in ambito Nato tra il 2004 e il 2011. La missione è stata confermata nel 2014 con la partecipazione all’operazione ‘Prima Parthica’, missione tuttora in corso nell’ambito della missione internazionale Inherent Resolve, avviata dalla coalizione contro Isis.
La consistenza massima del contingente nazionale impiegato nella missione è incrementata a 1.005 unità, che dispongono di 118 mezzi terrestri e 11 aerei.
I militari italiani sono impegnati in attività di addestramento delle truppe curde peshmerga che prevedono corsi di primo soccorso, monitoraggio e controllo, topografia, tiratori scelti e combattimento nei centri abitati, permettendo la formazione di migliaia di militari iracheni.
I militari italiani hanno anche fornito personale di staff ai comandi multinazionali di coordinamento presenti in Kuwait e nelle città irachene di Bahgdad ed Erbil.
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