Tra baraccopoli e secessione,
cosa sta succedendo a Messina?

La città dello Stretto ha il Ponte come unica questione irrisolta? Non proprio. Messina, a lungo protagonista del tira e molla su progetti più o meno concreti di realizzazione del lembo di asfalto e cemento capace di collegarla a Reggio Calabria, nasconde in realtà problematiche ben più preoccupanti. Come le baraccopoli di Messina, storia antica che non è stata mai risolta.

Nate dopo il terremoto del 1908, come soluzione temporanea, sono cresciute nel dopoguerra ed hanno continuano ad allargarsi fuori controllo. Poveri edifici venuti su dalla sera alla mattina, ai margini dei rioni più popolari, che anno dopo anno sono aumentati. Intere generazioni di messinesi sono nati, cresciuti e morti in queste abitazioni, senza vedere realizzata la speranza di un vero alloggio.

Le baraccopoli di Messina che nessuno vuole vedere

Fondo Fucile, Mangialupi, Giostra, Annunziata, rione Taormina sono solo alcuni dei nomi che la politica ha dimenticato per oltre un secolo, condannando migliaia di persone a fare i conti con l’angoscia e la disperazione. Quello del risanamento di Messina non è un problema da poco: riguarda circa 2.300 famiglie che vivono in 86 baraccopoli. In tutto 8 mila persone e tra loro ci sono molti bambini, disabili, anziani e persone in difficoltà. Alcuni vivono in case con i tetti di amianto, con la fogna che scorre vicino casa e la costante presenza di topi e scarafaggi. Una situazione gravissima sotto il profilo sanitario e sotto quelli ambientale e sociale.

Un problema dimenticato per oltre un secolo

La politica nel tempo, ha provato a dare risposte. Nel 1990 la Regione Sicilia riuscì a varare un provvedimento che stanziava 500 miliardi di vecchie lire e che doveva rappresentare la risposta alle esigenze di tanti messinesi che vivevano nelle aree degradate. Il tutto si è risolto in un nulla di fatto.
Sono dovuti passare altre 30 anni prima che dalle parole si passasse ai fatti. Nel 2020, il governo ha inserito nel decreto Covid19 un emendamento per la bonifica e la riqualificazione della baraccopoli di Messina. Lo stanziamento di 100 milioni di euro dovrebbe servire per la demolizione dell’area e il ricollocamento abitativo dei residenti.
A fine agosto 2021 sono iniziati i primi lavori di smantellamento delle baraccopoli. Secondo le previsioni, entro 24 mesi dovrebbe avvenire la fuoriuscita di tutte le famiglie dalle baracche, con la demolizione compiuta entro tre anni.

Una parte di Messina vuole fare comune a sé

La città di Messina rischia di perdere un pezzo. La regione Sicilia già da tempo ha infatti autorizzato un referendum promosso da un comitato che riunisce diverse frazioni con l’obiettivo di costituire un comune a parte, Montemare.

L’obiettivo della secessione è vista dai promotori come l’unica soluzione per allontanarsi dal degrado e dall’abbandono del loro territorio. 13 villaggi e 8700 persone che vivono nella zona nord della città, si sentono abbandonati da tempo, reclusi in zone periferiche e isolate, senza accedere a servizi o infrastrutture concentrate invece nella parte cittadina.

Dall’inizio di quest’avventura si sono susseguiti diversi tiri e molla con il comune e la Regione. Adesso, la Regione minaccia il Comune di Messina di avviare la procedura sostitutiva nei confronti del sindaco De Luca qualora il referendum non venisse fissato in tempi brevi.

Ma cosa succederebbe se vincesse il sì al referendum?

Verrebbe costruito da zero il nuovo comune di Montemare, dalla costruzione degli edifici municipali all’implementazione di servizi per i cittadini. Gli obiettivi sono quelli di riuscire a valorizzare un territorio troppo spesso dimenticato. Creando una realtà territoriale dove tutti i (pochi) cittadini si sentano finalmente parte integrante del tessuto sociale.

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