“Matteo Messina Denaro arrestato in Olanda”. Nei giorni scorsi la notizia della cattura della primula rossa di Cosa nostra ha tenuto banco sui social e su molti siti olandesi. In realtà si è trattato di un incredibile scambio di persona. L’uomo finito in manette nel blitz in un ristorante di Den Haag (l’Aja) è infatti un turista di Liverpool – Mark L. –, giunto nei Paesi Bassi per il Gran Premio di Formula Uno a Zandvoort.
Il blitz è imponente: gli agenti entrano con i mitra spianati, bendano il sospettato (più altri due commensali al tavolo con lui) e lo portano via in manette a sirene spiegate. Il tutto sotto gli sguardi atterriti dei titolari e degli altri clienti del ristorante. Una volta in cella nella prigione di massima sicurezza di Vught, però, l’amara sorpresa: il test del Dna certifica il clamoroso abbaglio.
L’uomo in manette non è il boss stragista ricercato dal 1993, ma un turista del tutto estraneo agli ambienti della mafia siciliana. E oggi, a distanza di alcuni giorni, anche grazie alle rivelazioni del quotidiano La Repubblica, è possibile capire la genesi di questo blitz-farsa che ha imbarazzato sia le autorità olandesi sia quelle italiane.
Secondo la ricostruzione del quotidiano, l’operazione sarebbe partita dalla Procura della Repubblica di Trento e gestita dalla sezione di polizia giudiziaria della Guardia di Finanza. Inoltre, la retata non sarebbe stata condivisa con la Procura di Palermo né con i reparti speciali di polizia e carabinieri che da anni indagano sulla latitanza di Messina Denaro.
Se i pm palermitani avessero saputo dell’iniziativa dei colleghi trentini avrebbero infatti potuto attivare la collaudata macchina per la verifica delle segnalazioni sul boss. Protocollo che non si è però attivato per il blitz nel Paese dei tulipani, del quale tutti hanno saputo solo a cose fatte. E così è scoppiato e il gelo fra le due Procure italiane per l’invasione di campo.
Sempre sulle pagine di Repubblica, però, il procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho, ha difeso l’operato della Procura di Trento, sostenendo che l’indagine partiva da altri elementi e che non riguardava il latitante. “In nessun modo – ha dichiarato De Raho – si è intaccato il lavoro dei colleghi di Palermo, perché si è operato in un contesto del tutto avulso e separato. E d’altro canto nessuno ha mosso contestazioni ufficiali”.
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