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CRONACA

L’Italia è sempre meno giovane: persi oltre 3 milioni di under 35 in vent’anni

Che l’Italia non sia un Paese per giovani è ormai cosa nota. A certificarlo una volta di più sono gli ultimi, impietosi, dati dell’Istat, secondo cui in vent’anni la Penisola ha perso oltre 3 milioni di ragazzi e ragazze tra i 18 e i 34 anni. Un calo pari al 23,2%. Attualmente gli italiani in quella fascia d’età sono 10 milioni e 200mila.

Impietoso anche il confronto con il resto dell’Unione europea. L’Italia è il Paese dell’Ue con la più bassa incidenza sul totale della popolazione: i giovani sono il 17,5% nel 2021, contro una media Ue del 19,6%.

L’emorragia del Mezzogiorno

Il rapporto diffuso dall’istituto di statistica è intitolato non a caso “I giovani del Mezzogiorno”. È al Sud infatti che si registra il calo più consistente, con una diminuzione del 28%, tanto che si prevede che di qui al 2061 gli ultra-settantenni saranno il 30,7% della popolazione residente nel meridione.

Come se non bastasse, secondo l’Istat i giovani del Mezzogiorno hanno un percorso più “lungo e complicato” verso l’età adulta. Si dilatano infatti notevolmente i tempi di uscita dalla casa dei genitori, di formazione di una famiglia propria, della nascita di un figlio. Al sud ben il 71,5% dei 18-34enni lo scorso anno viveva ancora in famiglia, contro il 64,3% nel Nord Italia e il 49,4% nell’Ue a 27. Un dato in aumento rispetto al 2001 (62,2%).

Di conseguenza si riducono la propensione al matrimonio e alla procreazione. La tendenza a posticipare le nozze e la nascita del primo figlio del resto riguarda tutta la Penisola, tanto che oggi l’età media di chi arriva per la prima volta all’altare è di 36 anni per gli uomini e 33 per le donne. Nel 2004 il dato era ripetitivamente 32 e 29 anni.

Generazione dei “millennial” più istruita

Nelle nuove generazioni di giovani meridionali l’Istat rileva d’altro canto una progressiva estensione dei percorsi di studio. I “millennial”, ovvero i nati fra il 1981 e il 1996, sono di gran lunga i più istruiti. Negli ultimi anni è aumentata la propensione agli studi universitari, soprattutto nel Mezzogiorno. Le immatricolazioni sono aumentate soprattutto nelle Regioni con alta disoccupazione e basso Pil pro-capite. Tra il 2010 e il 2022, la Sicilia ha registrato un aumento del 15,6%, la Sardegna del 13,6 e la Calabria del 10,9. Numeri più contenuti nel Lazio (+8,4%) e in Lombardia (+5%).

Foto | Pexeles / Oleksandr P – Newsby.it

L’emigrazione degli studenti verso il Nord

I percorsi universitari dei meridionali sono spesso più lenti e caratterizzati da una significativa “emigrazione studentesca” verso gli atenei del Centro-Nord, sia all’iscrizione (il 28,5%) sia alla laurea (il 39,8%). Una tendenza che prosegue anche dopo il conseguimento del titolo: dopo 5 anni solo il 51% lavora nel Mezzogiorno. Una fuga che nel medio e nel lungo periodo, mette in guardia l’Istituto di statistica, potrebbe privare ulteriormente il Mezzogiorno di lavoratori con competenze avanzate, un “capitale umano” indispensabile per il rilancio del sud d’Italia.

La disoccupazione tra i giovani del Sud al 23,6%

Se la carenza di opportunità lavorative stabili e di qualità nel Mezzogiorno non è una novità, la situazione fra i millennial è particolarmente negativa. Il tasso di attività è pari al 54,4%, contro il 60,3% della generazione precedente dei cosiddetti “boomer”, quello di occupazione si attesta al 41,6%, mentre resta elevata la disoccupazione, pari al 23,6% (nel Centro-Nord è al 9,1%).

È soprattutto nelle regioni dove è elevata la disoccupazione e il sistema produttivo è debole che negli ultimi venti anni si è assistito a un impoverimento demografico nella fascia di età 18-34 anni (-39,8% in Sardegna e 32,2% in Calabria) e a una crescita dei cosiddetti di Neet, i giovani che non studiano e non lavorano (Calabria 35,5%, Campania 34,7%, Sicilia 33,8%). Inoltre si è spostato in avanti il momento dell’uscita dalla casa di origine: la percentuale di che vive in famiglia nella fascia 30-39 anni si attesta al 37,8% in Sardegna, al 35,1% in Campania e al 34,6% in Calabria.

La qualità della vita dei giovani meridionali

L’indeterminatezza della “transizione lavorativa”, rileva ancora l’Istat, influisce negativamente sulla qualità della vita dei giovani meridionali. Oltre uno su due (51,5%) si dichiara insoddisfatto della propria situazione economica e un terzo la considera peggiorata (35,6%). Uno su cinque (il 21,8%) si dice insicuro verso il futuro. L’insicurezza aumenta nelle regioni con basso Pil pro-capite e alta disoccupazione. È massima in Sicilia (27,9%), Calabria (25,1), Sardegna (22%) e Puglia (21,6%).

“In definitiva, nel Mezzogiorno la condizione giovanile appare caratterizzata da difficoltà strutturali nel trovare una collocazione nella società adulta. È una generazione il cui ‘tempo rischia di fermarsi’”, scrive l’Istat. “Si tratta di una questione di rilevanza primaria per le nuove generazioni, ma che investe nel complesso le prospettive della società italiana, non solo di quella meridionale”.

Federica Giovannetti

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