L’Unione Europea vieta qualsiasi forma di discriminazione fondata sull’orientamento sessuale. Lo stabilisce l’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Ma le legislazioni dei 27 paesi membri fotografano una situazione ben diversa, fatta di contraddizioni, mancati riconoscimenti e diritti negati. Ne esce un variopinto mosaico di politiche, leggi e direttive, più o meno volte a tutelare i diritti fondamentali delle unioni gay, ma ancora lontane da una reale comunione di intenti. Chi apre al matrimonio, chi si limita a riconoscere le unioni civili, chi ostacola qualsiasi tipo di riconoscimento, l’Unione Europea è ancora la terra di nessuno, la zona grigia, dove ognuno agisce secondo le proprie regole, dove i diritti sono tutelati al di qua di un confine, ma oltraggiati a pochi chilometri di distanza.
Ad accendere nuovamente il dibattito sul riconoscimento delle unioni gay è l’ultima risoluzione dell’Europarlamento. Durante la plenaria in corso a Strasburgo, il Parlamento Europeo ha infatti ribadito la libertà di movimento e il diritto al ricongiungimento familiare delle coppie omosessuali. La misura è stata approvata con 387 voti favorevoli, 161 contrari e 123 astensioni. Fra gli europarlamentari italiani, hanno votato a favore quelli di Pd, M5S e Verdi. Contrari invece Lega e Fratelli d’Italia, mentre Forza Italia si è spaccata su posizioni diverse.
Ma perché ribadire un diritto “ovvio” dei cittadini? Tutti i cittadini dell’UE hanno infatti il diritto di circolare liberamente all’interno dell’Unione Europea. Questa libertà di movimento assicura ai cittadini la possibilità di vivere, studiare o lavorare in qualsiasi altro paese dell’UE. Ma le unioni gay devono fare i conti con una realtà ben diversa e possono imbattersi in notevoli difficoltà quando si trasferiscono all’estero. Ad esempio, far riconoscere la loro unione o i loro figli in un altro paese dell’UE.
Il mancato riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso in generale crea ostacoli alla richiesta di pensioni, alla concessione di un’assicurazione sanitaria congiunta e alla successione negli affitti. Ma nulla di tutto ciò dovrebbe accadere. Nel 2018 la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha infatti dichiarato apertamente che coniugi dello stesso sesso hanno il diritto di risiedere in un altro paese dell’UE, anche se il paese ospitante non prevede matrimoni tra persone dello stesso sesso.
La Commissione Europea procederà inoltre contro Romania, Ungheria e Polonia, con procedure di infrazione e misure giudiziarie, per aver violato i valori dell’Unione Europea e aver discriminato in modi diversi le comunità LGBT. Questa è soltanto l’ultima di una lunga serie di sanzioni stabilite nel corso degli anni dalla Corte europea dei diritti umani per tutelare le coppie omosessuali e salvaguardare i diritti delle comunità LGBT.
Nel mirino della Corte Europea ci finì nel 2015 anche l’Italia per non aver ancora introdotto alcun riconoscimento legale per le coppie gay. I giudici di Strasburgo condannarono l’Italia per violazione dei diritti umani sollevando un aspro dibattito tra le varie forze politiche. Nel maggio 2016, le unioni civili tra persone dello stesso sesso furono regolamentate infine dalla Legge Cirinnà. Due anni prima, medesima sorte era toccata alla Grecia, condannata per aver escluso le coppie dello stesso sesso dalle unioni civili. Anche il governo greco prese provvedimenti nell’arco di pochi anni e nel 2015 il parlamento legalizzò le unioni gay.
Se l’Unione Europea può decidere in materia di libera circolazione dei suoi cittadini, d’altra parte non impone ai paesi membri di riconoscere i matrimoni tra persone delle stesso stesso. Sono i paesi dell’UE a stabilire le proprie leggi sul matrimonio, compreso quello tra persone dello stesso sesso e altre relazioni legalmente riconosciute, che possono variare da un paese all’altro.
Di 27 paesi membri dell’UE, sono 13 gli Stati che riconoscono il matrimonio gay, 8 quelli che prevedono altre forme di riconoscimento, incluse le unioni civili, mentre i restanti 6 non riconoscono alcuna forma di unione tra persone dello stesso stesso. Il divieto di unioni omosessuali compare nelle carte costituzionali di Bulgaria, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia e Ungheria.
I primi a riconoscere il matrimonio omossessuale sono stati i Paesi Bassi nel 2001, seguiti dal Belgio nel 2003 e dalla Spagna nel 2005. Nel 2015 l’Irlanda è stato il primo paese al mondo a introdurre tramite referendum il matrimonio tra persone dello stesso sesso nella costituzione. Dal 2017 i matrimoni gay sono legali anche in Finlandia, Germania e Malta. L’ultimo paese a legalizzare il matrimonio tra persone dello stesso sesso è stata l’Austria nel 2019.
Nella terra di mezzo si collocano Croazia, Grecia, Italia, Slovenia, Estonia, Repubblica Ceca, che prevedono diverse tipologie di riconoscimento. Si tratta di riconoscimenti importanti, ma non equiparabili al matrimonio. In Italia, ad esempio, le unioni civili riconoscono diritti e doveri delle coppie gay, ma escludono la possibilità di adottare. Inoltre, non è previsto il vincolo di fedeltà, presente invece nell’istituto matrimoniale.
A vietare rigorosamente il matrimonio tra persone dello stesso sesso sono Bulgaria, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia e Ungheria. Quest’ultima in particolare ha destato scalpore per le politiche omofobe e discriminatorie portate strenuamente avanti dal governo di Viktor Orbán. Nel 2020 il primo ministro ungherese ha approvato un disegno di legge per vietare le adozioni gay. Ha inoltre introdotto un emendamento alla Costituzione per limitare il matrimonio all’unione tra un uomo e una donna.
Tra minacce, sanzioni e appelli, di una cosa siamo certi. La strada verso una reale accettazione delle unioni omosessuali è aperta. L’Unione Europea intende davvero promuovere una parità di trattamento delle coppie omosessuali e proteggere i diritti delle comunità LGBT. Questo non significa, tuttavia, che il percorso non sia ancora lungo, tortuoso e costellato di pericoli, di minacce talvolta imprevedibili, come testimoniano le politiche omofobe del governo Orbán o gli ostacoli insormontabili per l’approvazione del Ddl Zan in Italia.
Ma all’orizzonte si intravedono i contorni di una società più libera ed equa, che riconosce la diversità come un valore, che dà spazio a una nuova e più ampia concezione della famiglia, dove il matrimonio non viene considerato soltanto come un diritto, ma come un ingresso congiunto nella società civile con i diritti e i doveri che ne derivano. Un posto dove l’amore non è subordinato alla tradizione, ma è “la più sublime di tutte le condizioni umane“, come scrisse Zygmunt Bauman in uno dei suoi saggi più famosi.
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