Le autorità iraniane non hanno ancora formalizzato le accuse nei suoi confronti, il che rende difficile per i diplomatici e i legali intervenire in modo efficace
Cecilia Sala, una giovane e talentuosa giornalista italiana di 29 anni, è stata arrestata in Iran mentre si trovava nel paese con un visto giornalistico regolare per lavorare a nuove puntate del suo rinomato podcast “Stories”, prodotto da Chora Media. La notizia del suo arresto ha suscitato preoccupazione e indignazione, evidenziando il rischio che i giornalisti affrontano quando coprono eventi in contesti geopolitici complessi e pericolosi.
Cecilia Sala è conosciuta per le sue inchieste e reportage dai fronti caldi di tutto il mondo, avendo coperto eventi significativi che spaziano dalla crisi in Venezuela alla caduta di Kabul, fino ai conflitti in Ucraina. La sua carriera è caratterizzata da un impegno costante nella ricerca di verità e giustizia, utilizzando il suo talento per raccontare storie che altrimenti potrebbero rimanere nel silenzio. Cecilia è partita da Roma il 12 dicembre e, dopo una settimana di lavoro in Iran, è stata fermata dalle autorità iraniane il 19 dicembre. Era prevista la sua partenza per l’Italia il giorno seguente, ma il suo arresto ha stravolto i suoi piani e ha portato a una crescente preoccupazione per la sua sicurezza.
Le autorità iraniane non hanno ancora formalizzato le accuse nei confronti di Sala, il che rende difficile per i diplomatici e i legali intervenire in modo efficace. Solo dopo più di una settimana, il 27 dicembre, ha ricevuto la visita in carcere dell’ambasciatrice italiana a Teheran, un passo importante ma che sottolinea la gravità della situazione in cui si trova.
Cecilia Sala è nata a Roma il 26 luglio 1995 e, dopo aver conseguito il diploma, si è trasferita a Milano nel 2014 per studiare Economia all’Università Luigi Bocconi. Tuttavia, la sua passione per il giornalismo ha preso il sopravvento e, nel 2018, ha deciso di interrompere gli studi per dedicarsi a tempo pieno alla professione di giornalista.
La sua carriera ha avuto inizio nel 2015 quando ha iniziato a collaborare con Vice come inviata e reporter. Successivamente, è approdata alla trasmissione “Servizio Pubblico” su La7, condotta da Michele Santoro, dove ha affinato le sue capacità professionali e ha ottenuto il titolo di giornalista professionista.
Negli anni, Cecilia ha collaborato con diverse testate giornalistiche, tra cui “L’Espresso”, “Vanity Fair” e la Rai, consolidando la sua reputazione come una delle giornaliste più promettenti della sua generazione. Nel 2019 ha iniziato una collaborazione con “Il Foglio”, un’esperienza che continua ancora oggi. Tuttavia, è grazie ai suoi podcast che ha raggiunto una maggiore notorietà. Il suo primo podcast, “Polvere”, realizzato con Chiara Lalli nel 2020, ha raccontato la storia dell’omicidio di Marta Russo e ha ottenuto un enorme successo, generando centinaia di migliaia di ascolti. Questo progetto è stato poi trasformato in un libro, “Polvere. Il caso Marta Russo”, pubblicato da Arnoldo Mondadori Editore.
Nel 2022, Cecilia ha lanciato “Stories” con Chora Media, un podcast che ha rapidamente guadagnato popolarità e che continua a essere uno dei più ascoltati in Italia nel suo genere. Il suo secondo libro, “L’Incendio”, uscito nel 2023, raccoglie storie di vita da luoghi di conflitto e guerra, portando alla luce le esperienze di persone comuni in situazioni straordinarie. Tra i protagonisti delle sue narrazioni ci sono una soldatessa ucraina, uno studente iraniano, una campionessa di kickboxing musulmana e lesbica, e una donna attiva in politica in Afghanistan.
Accanto a Cecilia, c’è il suo compagno Daniele Raineri, anch’egli giornalista esperto di esteri, attualmente in forza a “Il Post”. La coppia condivide un forte impegno per il giornalismo di qualità e per la narrazione di storie che sfidano le convenzioni e portano alla luce verità spesso ignorate. La vicenda di Cecilia Sala non è solo una questione personale, ma rappresenta una sfida più ampia per la libertà di stampa e per il ruolo dei giornalisti in contesti di crisi. La sua detenzione in Iran solleva interrogativi sulla sicurezza dei giornalisti e sulla libertà di espressione in paesi dove il dissenso viene represso e le voci critiche silenziate.
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