Mala tempora currunt per la libertà di stampa, soprattutto in ambito giudiziario. Il 14 dicembre scorso è entrata in vigore la nuova norma voluta dalla ministra della Giustizia, Marta Cartabia, a tutela della presunzione di innocenza. Che, lo ricordiamo per i più smemorati, era un diritto costituzionalmente garantito già da prima. Le diverse procure italiane stanno ora recependo e diffondendo, tramite circolari interne, la nuova norma ai componenti dei rispettivi uffici giudiziari.
A Milano le nuove norme sui rapporti stampa-pm
Ieri, 9 febbraio, è stata la volta di Milano. Il procuratore facente funzioni Riccardo Targetti ha infatti emanato le nuove disposizioni sui rapporti con gli organi di informazione che, scrive l’Ansa, citano e seguono su tutta la linea la norma della Guardasigilli. Ciò comporta che d’ora in avanti sarà “competenza esclusiva del procuratore della Repubblica” fornire “informazioni” alla stampa sui procedimenti penali in corso.
E ciò avverrà tramite conferenze o comunicati (da “preferire”) dell’autorità giudiziaria o delle forze dell’ordine autorizzati dallo stesso procuratore. “Al di fuori di questi casi, non è consentito ad alcuno, né ai magistrati né agli appartenenti alla polizia giudiziaria, di fornire ulteriori notizie”. La circolare è stata infatti inoltrata a tutti i pm, gli aggiunti e i sostituti della procura, al presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano, al questore e ai vertici delle forze dell’ordine.
Cronisti ridotti a megafoni della magistratura?
Spetterà dunque al capo dell’ufficio informare la stampa sui procedimenti penali in corso, vale a dire quelli in cui “vi è già stata l’iscrizione nel registro delle notizie di reato”. Un’altra disposizione riguarderà l’attività investigativa, la quale andrà “attribuita impersonalmente all’ufficio”, senza dunque indicare il nome del pm assegnatario del fascicolo.
Infine, la vera “mazzata” definitiva sulla libertà di stampa. Stando alle regole volute dal Ministero della Giustizia, saranno gli uffici giudiziari stessi a decidere se e quando divulgare le notizie. E solo in due casi: se le informazioni sono “strettamente necessarie per la prosecuzione delle indagini”; oppure quando “ricorrono specifiche ragioni di interesse pubblico”.
In poche parole, alla giustizia spetterà anche il compito di sostituirsi alla stampa stessa, assorbendo una delle sue prerogative fondamentali: valutare la notiziabilità dei fatti. Le nuove regole hanno subito generato una levata di scudi generale da parte dei cronisti di giudiziaria milanesi e non solo, i quali vedono ora messa a dura prova la propria libertà di azione. C’è perfino chi parla dell’ennesimo tentativo di mettere il bavaglio alla stampa o di “norme sull’omertà di Stato”.
Le conseguenze della giustizia a targhe alterne
Ma chi subirà le ricadute principali di queste disposizioni? Innanzitutto il pubblico. Presto o tardi, infatti, arriverà un momento in cui i lettori si scontreranno contro una qualità dell’informazione sensibilmente inferiore, con tanti “omissis” al posto dei nomi, e dunque incompleta. Che per un giornalista è il peccato più grande. In secondo luogo la cronaca locale, dove le informazioni di carattere giudiziario rischiano di arrivare ancora di più col contagocce di quanto già non arrivassero.
Mettiamo caso che, in un paese di provincia, un commercialista che magari ricopre anche incarichi pubblici finisca in manette in un’operazione antimafia. Chi è il soggetto in questione? Quali accuse gli contestano? Cosa ha fatto e chi sono i coindagati? Se il procuratore di turno valuterà il caso non di interesse pubblico, queste informazioni, che in un paese sono più che di interesse pubblico, arriveranno mai ai lettori come è lecito che sia?
Perché, a beneficio degli smemorati di cui sopra, ricordiamo che anche il diritto di cronaca è garantito dalla Costituzione. Comunque, la risposta, molto probabilmente, sarà negativa. Ma si badi bene: la colpa non sarà dei cronisti – i quali continueranno a fare in condizioni sempre più precarie il loro lavoro –, ma di chi la giustizia si fregia di amministrarla nel nome di tutti. Meno che dei giornalisti, verrebbe da dire. Quando in realtà andrebbe fatto sempre nell’interesse di chiunque. E non a targhe alterne.