Sono passati 20 anni da quel 24 gennaio 2003, quando nella sua villa torinese, Villa Frescot, morì Gianni Agnelli, 82 anni, soprannominato l’Avvocato, considerato l’ultimo Re d’Italia – così lo definì lo storico Valerio Castronovo – e grande capitano d’industria, al timone della Fiat. Un uomo stimato ancora oggi in Italia e nel mondo. Tanto che la coda di decine di migliaia di persone che resero omaggio al suo feretro, nella camera ardente allestita nella Pinacoteca Agnelli, rimarranno per sempre scolpite nell’immaginario collettivo.
Prese le redini della Fiat direttamente dalle mani del fondatore, il nonno Giovanni. Guidò l’azienda da vero sovrano sabaudo, ma che nella vita sopportò anche dolori atroci. Nato a Torino il 12 marzo 1921, figlio di Edoardo Agnelli e di Virginia Bourbon del Monte dei Principi di San Faustino, Gianni Agnelli era il secondo dei sette figli della coppia. Fu anche sindaco di Villar Perosa, alle porte di Torino, per 35 anni. Perse il padre a soli 14 anni, nel 1935, in un grave incidente. Il 14 luglio Edoardo stava rientrando da Forte dei Marmi con l’idrovolante del padre, un Savoia-Marchetti S.80 pilotato dall’asso dell’aviazione Arturo Ferrarin, diretto a Genova per poi raggiungere Torino in treno, ma durante l’ammaraggio all’idroscalo i galleggianti del velivolo urtarono un tronco vagante sullo specchio d’acqua e il mezzo si ribaltò. Il pilota ed Edoardo rimasero illesi, ma quest’ultimo si alzò in piedi nell’abitacolo, posto sotto al motore montato su una gondola, e morì colpito alla nuca dall’elica rimasta in movimento.
Dopo questa tragedia, Gianni Agnelli fu designato erede dell’impero già a 14 anni, entrando in azienda a 22 anni. E da quel giorno, per tutti, fu l’Avvocato. Però, la responsabilità della gestione fu affidata a Vittorio Valletta, braccio destro del nonno. Furono per lui anni di un’altra tragedia (la morte della madre in un incidente stradale il 30 novembre 1945) e di crescita. Ma anche gli anni del grave incidente d’auto, avvenuto nel 1952 (da Torino a Monte Carlo si schiantò contro un autocarro rimanendo claudicante per tutta la vita), e del matrimonio con Marella Cacciolo, nel 1953, da cui nacquero Edoardo e Margherita. E proprio il figlio Edoardo gli diede un altro tragico dolore, suicidandosi il 15 novembre 2000. Tre anni prima perse il nipote Giovanni “Giovannino” Alberto, figlio del fratello Umberto Agnelli, erede designato, per un male incurabile.
Quando Gianni Agnelli assunse la presidenza della Fiat, nell’aprile 1966 all’età di 40 anni, l’azienda di famiglia era già la più importante e solida impresa italiana. L’Avvocato viene considerato un uomo sì irrequieto, ma anche elegante e raffinato, amante delle feste, dello yacht e delle belle donne. Con tante passioni: la pittura, la Juventus (che non vide mai in B) e la Ferrari. La sua ironia e le sue battute sono ancora oggi ricordate. Come resta celebre, quando gli venne affidata dagli imprenditori la guida di Confindustria tra il 1974 e il 1976, la storica intesa per il punto unico di contingenza con la Cgil di Luciano Lama. Politicamente, invece, non si schierò mai (“Il mio cuore batte repubblicano”, si sbilanciò), ma arrivò in Parlamento nel 1991, nominato senatore a vita dall’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Infine, celebre anche quando pilotò l’ingresso dei libici di Gheddafi nel capitale della Fiat. Per l’azienda di famiglia è una svolta decisiva. Vent’anni dopo in Italia è cambiato tutto. La Fiat resiste e oggi fa parte del gruppo olandese Stellantis.
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