Verso l’alba di oggi, mercoledì 26 maggio, sono state fermate tre persone per la strage della funivia Stresa-Mottarone, nella quale sono morte 14 persone. Tra gli uomini potati nel carcere di Verbania c’è anche il 56enne Luigi Nerini, proprietario della società che gestisce l’impianto, la Ferrovie Mottarone srl. Oltre a lui sono stati fermati anche Gabriele Tadini, il direttore, ed Enrico Perocchio, il capo operativo del servizio. Alberto Cicognani, il comandante provinciale dei carabinieri di Verbania, ha dichiarato che i tre uomini hanno ammesso le proprie responsabilità. “Il freno non è stato attivato volontariamente? Sì, sì, lo hanno ammesso. C’erano malfunzionamenti nella funivia, è stata chiamata la manutenzione, che non ha risolto il problema, o lo ha risolto solo in parte. Per evitare ulteriori interruzioni del servizio, hanno scelto di lasciare la ‘forchetta’, che impedisce al freno d’emergenza di entrare in funzione”.
Il fermo è stato disposto da Olimpia Bossi, il procuratore di Verbania, che assieme al pm Laura Carrera coordina le indagini dei carabinieri. La sua decisione è arrivata in seguito all’analisi della cabina precipitata e ai lunghi interrogatori di ieri. Il confronto con i dipendenti e i tecnici dell’impianto, convocati nella caserma dell’Arma, è durato dodici ore. In un primo momento erano stati convocati tutti come “persone informate dei fatti”, ma già ieri sera, con l’arrivo dei primi avvocati, è stato chiaro che la posizione di alcuni di loro era cambiata. Nerini è arrivato dopo la mezzanotte ed è stato raggiunto in un secondo momento da Pasquale Pantano, il suo avvocato difensore.
Nelle prossime ore, la procura di Verbania chiederà la convalida del fermo e la misura cautelare nei confronti dei tre fermati. Per ognuno di loro è stato raccolto quello che Olimpia Bossi definisce “un quadro fortemente indiziario”. L’analisi dei reperti, infatti, ha permesso di accertare che “la cabina precipitata presentava il sistema di emergenza dei freni manomesso”. Gli inquirenti sostengono che il “forchettone”, ossia il divaricatore che tiene distanti le ganasce dei freni che dovrebbero bloccare il cavo portante in caso di rottura del cavo trainante, non è stato rimosso. Un “gesto materialmente consapevole”, per “evitare disservizi e blocchi della funivia”, che, da quando aveva ripreso servizio, presentava delle “anomalie”.
La funivia di Stresa-Mottarone era rientrata in funzione da circa un mese, dopo un lungo stop causato dalla pandemia. Olimpia Bossi ha spiegato che l’impianto viaggiava da giorni con il sistema di emergenza dei freni manomesso. Per rimediare ai disservizi erano stati richiesti alcuni interventi tecnici, uno dei quali il 3 maggio, che però non “erano stati risolutivi”. Pertanto “si è pensato di rimediare”. Così, “nella convinzione che mai si sarebbe potuta verificare una rottura del cavo, si è corso il rischio che ha purtroppo poi determinato l’esito fatale”, sottolinea Bossi, che parla di “uno sviluppo consequenziale, molto grave e inquietante, agli accertamenti svolti”.
Per confermare quanto emerso dai primi accertamenti sarà necessario attendere l’intervento dei tecnici. Inoltre, la procura di Verbania intende “valutare eventuali posizioni di altre persone”. “Si è tutto accelerato nel corso del pomeriggio e di questa notte”, spiega Bossi. “Nelle prossime ore cercheremo di verificare, con riscontri di carattere più specifico, quello che ci è stato riferito”. A rendere ancor più grave la posizione dei tre fermati è il fatto che si tratta di persone che avevano “dal punto di vista giuridico ed economico la posizione di intervenire”.
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