Le cariche della Polizia contro studenti che protestavano pacificamente a Pisa, Firenze, Napoli e Torino hanno infiammato il dibattito. Dopo oltre 20 anni dagli accadimenti del G8 di Genova, si torna a parlare ancora di codici identificativi per le Forze dell’Ordine e non è un caso.
Martedì 3 ottobre, la presidente del consiglio Giorgia Meloni è arrivata a Torino per partecipare alla giornata conclusiva del Festival delle regioni e delle province autonome, ma la sua visita è stata contestata da un corteo composto da circa 250 persone – per la maggioranza studenti – che si sono scontrate con la polizia.
Intanto c’è chi reclama a gran voce i codici identificativi, esattamente come suggerito da una risoluzione dell’Unione Europea e dalle Nazioni Unite. Eppure, l’Italia, divisa tra favorevoli e contrari, è uno tra i pochissimi Paesi dell’Ue a non averli: ecco cosa sono, a cosa servono e i pro e contro.
In Europa quasi tutte le forze dell’ordine hanno un codice identificativo per scoraggiare soprusi e identificare i colpevoli in caso di violazione delle norme.
Non in Italia, che insieme a solo altri quattro paesi (Austria, Cipro, Lussemburgo, Olanda) continua a non obbligare i propri agenti a farsi riconoscere, nonostante le pressioni di Onu e Ue.
Infatti nel 2012 l’Unione Europea ha approvato una risoluzione che esortava gli Stati membri a “garantire che il personale di polizia porti un numero identificativo”, come un collar number (numeri sul collo) o shoulder number (numeri sulla spalla): codici identificativi usati per riconoscere i singoli ufficiali di polizia, altrimenti impossibili da identificare in situazioni caotiche come gli scontri.
Nel 2016 è intervenuto anche il Consiglio sui diritti umani dell’Onu che ha raccomandato che i funzionari delle forze di polizia siano “chiaramente e individualmente identificabili”. Ma perché nel nostro paese ancora non è stato adottato il codice identificativo? È opportuno conoscere pareri contrari e favorevoli.
L’Italia, come anticipato, è uno dei pochi Paesi a non aver adottato i codici identificativi, e questo perché secondo politici e Forze dell’Ordine sarebbero non necessari.
Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha infatti ribadito la posizione del Governo in merito all’ipotesi di un numero identificativo per i membri delle forze dell’ordine, affermando che chi “propugna una misura del genere mostra una visione di ideologica sfiducia nei confronti delle forze dell’ordine”.
Ma non solo: secondo Valter Mazzetti, Segretario generale Fsp Polizia di Stato, i codici identificativi sarebbero potenzialmente pericolosi per gli operatori, rimarcando la stessa posizione adottata nel 2018 dal ministro Matteo Salvini:
“Il mio obiettivo è non mettere il numero sui caschi dei poliziotti, che sono già abbastanza facilmente bersagli dei delinquenti anche senza il numero in testa”
“Invece che a marchiare gli operatori della sicurezza si pensi a creare i migliori presupposti per identificare, fermare e punire i violenti in maniera seria, reale, rigorosa”. Queste le dure parole di Mazzetti, il quale propone invece di adottare le bodycam in modo capillare: una videocamera sulla divisa, nell’autovettura e nelle celle di sicurezza per filmare quanto accade durante il servizio, nelle manifestazioni, in piazza e negli stadi.
Ma le telecamere non bastano per chi da anni chiede giustizia di fronte all’uso sproporzionato da parte della Polizia. Solo il G8 di Genova dovrebbe bastare per capire quanto i codici identificativi sulle divise della polizia siano fondamentali. Come ricorda Amnesty International a più di vent’anni dai fatti di Genova del 2001, “molti dei responsabili delle gravi violazioni dei diritti umani commesse in quell’occasione sono sfuggiti alla giustizia, restando di fatto impuniti”.
La stessa battaglia viene portata avanti in senato dalla senatrice di Alleanza Verdi Sinistra Ilaria Cucchi, la quale propone agli agenti di polizia di portare un codice identificativo e una body cam. Il codice andrebbe a tutelare non solo i cittadini, ma anche la Polizia, in modo da poter identificare chi viola le leggi.
Come ricorda Amnesty la responsabilità penale è personale, “perché chi commette violazioni dei diritti umani deve essere individuato e sanzionato personalmente”. Inoltre, il codice fa sì che la violenza commessa da un singolo agente non diventi responsabilità di un intero reparto. E per tutelare cittadini bodycam non basta.
Amnesty International spiega che la bodycam può essere un buon strumento ma non la soluzione: non è detto che la telecamera funzioni correttamente, ci sono rischi di spegnimenti o “interruzioni” nella registrazione e poi vi sono questioni importanti da considerare rispetto alla privacy di chi viene filmato ma non è coinvolto nell’atto violento (da parte della Polizia o dei manifestanti).
Infine, per quanto riguarda il problema di incolumità dell’agente, il codice non viene richiesto durante operazioni di contrasto alla criminalità organizzata, ma durante operazioni di ordine pubblico, come manifestazioni e proteste in piazza, luoghi in cui i cittadini dovrebbero essere protetti, specialmente i giovani e non caricati dalle forze dell’ordine
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