Tornato alla ribalta delle cronache ormai da settimane, Flavio Briatore mi sembra ormai quel classico prodotto della (sotto)cultura mediatica italiana a metà fra il ridondante tormentone estivo e il solito faccione utile a riempire i contenitori televisivi, raschianti – come sempre di ‘sti tempi – il fondo del barile degli argomenti, a soddisfare la sete di condivisione degli pseudo-guru dei social, a confermare (e questo è più preoccupante del resto) le proprie tesi sul Covid-19.
Non mi sono avventurato nel semplice e inflazionatissimo giochino della prost-atite versus prost-ituzione intellettuale, del Covid sì o del #noncenèCoviddi (comunque per me è Covid sì, senza terrorismo mediatico, ma pur sempre sì). Mi interessava maggiormente analizzare come questa figura di imprenditore tuttofare si sia evoluta(?) nel corso degli anni, e soprattutto la sfrontatezza con la quale il nostro si sia infilato nella complicata diatriba sulla pandemia. Non esattamente una gara di Formula 1 da vincere o una serata evento in discoteca da organizzare: una p a n d e m i a…
Mi è quindi tornato in mente un video che, ancora “pischelletto”, avevo realizzato ormai otto anni fa (così YouTube mi suggerisce, lo avevo completamente rimosso).
Flavio Briatore si destreggiava con maestria nella conferenza stampa di presentazione dell’edizione italiana di “The Apprentice”, trasmessa su Sky e ‘figlia’ del successo americano con protagonista Donald Trump (già, proprio lui…).
Cito da Wikipedia: “Aspiranti uomini e donne d’affari devono superare una serie di prove manageriali per poter avere la possibilità di lavorare alle dipendenze di Flavio Briatore per almeno un anno con uno stipendio a sei cifre”.
Avevo poco più di 25 anni: il giornalismo non mi dava da mangiare, non avevo idee chiarissime su cosa avrei fatto (tanto da fuggire in Australia circa un anno dopo), ma mi ricordo come un ragazzo ambizioso e volenteroso. Insomma, seguivo quella conferenza stampa non solo per interesse giornalistico ma anche personale, provando a carpire dritte e consigli di un imprenditore che “ce l’aveva fatta”.
Dopo alcune decine di minuti in cui Briatore ne diceva di tutti i colori contro il sistema, la politica, la scuola, la flessibilità del lavoro, le opportunità mancanti, e tutto quanto di italiano possa entrare a far parte di un percorso di crescita di un giovane d’oggi (tutte cose peraltro condivisibili, sia chiaro), non trovavo però ciò che i critici (attualizzando possiamo definirli anche hater, piangina, ecc. ecc.) ancora oggi non offrono: una soluzione.
Briatore, proprio come nelle sue comparsate televisive, era abile a intrattenere la platea con battute mirate e facili filosofismi, ma concretamente cosa stava dicendo ai giovani che lui si prometteva di “addestrare” nel corso del programma?
Gliel’ho chiesto.
“Per un giovane di 25 anni come me, quindi, l’unica speranza è entrare in un reality televisivo e sperare di vincere un contratto al Billionaire?”
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A distanza di tempo, credo che involontariamente dietro a quella domanda ci fosse qualcosa di più “solido” di una semplice provocazione: vi era la paura del futuro, la scarsa fiducia nel contesto, ma anche una sorta di speranza che proprio qualcuno simbolo della generazione che tutto ci aveva tolto potesse spendere una parola di incitamento. Non per me direttamente, diciamo per la “categoria”.
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