L’ultimo caso arriva da Firenze. La Corte d’Assise d’Appello del capoluogo toscano ha quasi dimezzato – da 30 a 16 anni – la pena per un 32enne ritenuto l’autore del femminicidio della compagna 21enne. Il motivo? L’uomo, dopo il delitto, era “realmente turbato e sconvolto dall’azione compiuta”, tanto da aver lanciato l’allarme alle forze dell’ordine senza fuggire dalla scena del crimine.
Con questa motivazione, il 15 settembre i giudici di secondo grado hanno accolto una delle istanze avanzate dal legale del 32enne che, il 24 novembre 2018, all’interno di un ostello, aveva strangolato a morte la compagna al culmine di un litigio. Subito dopo, però, era sceso in reception per chiedere aiuto e aveva atteso l’arrivo della polizia piangendo seduto sulle scale.
Per via del suo atteggiamento nelle fasi immediatamente successive all’omicidio, dunque, la Corte ha deciso di concedere all’imputato le attenuanti generiche. Che il 9 luglio 2020 il gup non aveva riconosciuto. La condanna è passata così da 30 anni in primo grado a 16 in Appello. La difesa, nonostante sia soddisfatta per la diminuzione della pena, ha comunque annunciato ricorso in Cassazione.
Altro giro, altra corsa. Questa volta siamo nell’aula della prima Corte d’Appello di Milano, chiamata a valutare il ricorso di un 63enne condannato in primo grado in abbreviato a 5 anni per stupro. I fatti risalgono all’8 giugno 2019 e sullo sfondo la periferia di Vimercate, in provincia di Monza. La vittima è una donna di 43 anni, ex compagna di colui che diventa il suo aguzzino.
Stando alla ricostruzione degli inquirenti, infatti, il 63enne ha sequestrato la convivente per una notte intera all’interno della loro roulotte, minacciandola con un coltello, picchiandola con calci e pugni e violentandola perché, a suo dire, lo tradiva. A salvarla, alle 7 del mattino, l’intervento dei carabinieri del Nucleo Radiomobile, allertati da una telefonata della figlia 23enne della donna, preoccupata per la “scomparsa” della madre.
Per quei fatti, in Appello, nel settembre 2020 i giudici hanno però ridotto di sei mesi la pena per l’uomo, scesa a 4 anni e 4 mesi. Secondo la Corte, il carnefice era in realtà un uomo “mite”, si legge nelle motivazioni, “esasperato dalla condotta troppo disinvolta della donna che aveva passivamente subìto sino a quel momento”. Circostanza che, “se certo non attenua la responsabilità, è tuttavia indice di una più scarsa intensità del dolo”; oltre che “della condizione di degrado in cui viveva la coppia”.
Andando (nemmeno troppo) indietro nel tempo arriviamo al femminicidio di una 46enne di Riccione il 5 ottobre 2016. A strangolarla a morte è un operaio, oggi 57enne, con cui la donna aveva iniziato una relazione da poco più di un mese. In primo grado, nel dicembre 2017, l’imputato – reo confesso – riesce ad evitare l’ergastolo grazie alla scelta del rito abbreviato e viene condannato a 30 anni.
Nel novembre del 2018, però, arriva un inaspettato ribaltamento del verdetto. La Corte d’Assise d’Appello di Bologna ha infatti concesso le attenuanti generiche al 57enne, dimezzando di fatto la pena e portandola a 16 anni di reclusione. Secondo i giudici, l’uomo avrebbe agito in preda a una “soverchiante tempesta emotiva e passionale”, frutto anche “delle sue poco felici esperienze di vita” pregresse. Tempesta emotiva che avrebbe quindi trasformato il litigio in un omicidio volontario dai futili e abietti motivi.
Motivazione che ha generato un vortice di polemiche, tanto che il presidente della Corte d’Appello bolognese aveva diramato una nota per spiegare, da un punto di vista tecnico, i motivi della decisione dei magistrati. Motivi ritenuti però poco convincenti anche dalla Corte di Cassazione, che hanno dapprima annullato la condanna e disposto un nuovo giudizio di secondo grado. Concluso con una nuova condanna a 30 anni, diventata definitiva nel marzo di quest’anno con la pronuncia degli ermellini.
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