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“CODA – I segni del cuore” vince e commuove ai Premi Oscar conquistando tre statuette. Affronta una realtà non molto nota e raccontata a livello internazionale e nazionale, quella delle persone sorde. E ancora di più sui “Children of Deaf Adults“, ossia i figli udenti di genitori sordi (come Ruby Rossi, la protagonista della pellicola). Una realtà che, nel nostro Paese, accomuna molte famiglie che si sono riunite nell’associazione Coda Italia.
Newsby.it ha raggiunto Carlo Wialletton, Gloria Antognozzi e Michela Moschillo, tutti componenti del Consiglio Direttivo di Coda Italia per conoscere un po’ meglio la quotidianità delle persone sorde nel nostro Paese, per capire quanto la comunità abbia apprezzato di essere raccontata a Hollywood (e se il film, magari, ha romanzato qualcosa). E anche per andare a fondo sul rapporto che le persone udenti hanno con i loro genitori sordi, proprio come avviene nel film.
Chi sono i CODA?
Carlo: “Sono figli udenti di genitori sordi, e fanno parte della comunità sorda. Con le nostre famiglie di genitori sordi abbiamo affrontato esperienze molto comuni tra noi, ma sicuramente diverse dalle altre famiglie“.
Come vivono i CODA in Italia?
Gloria: “Come tutti i figli di tutte le famiglie. Ma con genitori speciali. Per chi ha visto il film, il Coda si ritrova spesso a dover tradurre in situazioni anche improvvise per i propri genitori. Fortunatamente ad oggi ci sono gli interpreti, che i nostri genitori chiamano per le proprie necessità. Purtroppo c’è una bella differenza tra Nord e Sud Italia sui servizi che rendono autonomi o meno i nostri genitori sordi“.
Quanto effettivamente il film racconta la realtà dei Coda in maniera accurata?
Michela: “Ovviamente è una commedia, quindi molte situazioni sono un po’ estreme o esagerate. Ma molte situazioni corrispondono a quelle che abbiamo vissuto. È però solo una storia, non quella di tutti i CODA. Il senso di responsabilità che vediamo nella protagonista, o la difficoltà di allontanarsi della famiglia, è comune ad alcuni di noi. Altri, però, si sono distaccati in maniera più rapida e indolore“.
Che rapporto c’è tra il mondo dei sordi e il mondo dei CODA?
Carlo: “Noi facciamo da tramite, da ponte, tra il mondo udente e il mondo dei sordi. Fin da piccoli facevamo da interprete in qualsiasi situazione. Avevamo una grossa responsabilità, a me capitò di accompagnare mia madre in banca per la richiesta di un mutuo. Io, però, non sapevo neanche che cosa fosse. A scuola, invece, capitava che nei colloqui con i professori facessimo un po’ i furbetti. Molti di noi, comunque, lavorano nell’ambito del sociale. Soprattutto come interpreti, o assistenti alla comunicazione. Queste sono le figure professionali che lavorano a scuola con gli studenti sordi“.
È stato importante per i CODA essere raccontati in un film da Oscar?
Michela: “L’importanza è notevole, perché ha vinto un film che parla proprio di noi. Non a caso abbiamo dato vita a questa fondazione nel 2014, ma in America è nata quasi trent’anni prima di noi. Ma è un grande orgoglio, perché gli attori che interpretano i genitori nel film sono realmente sordi. E potrebbero essere i genitori di tutti noi CODA. Inoltre il figlio udente di genitori sordi di solito viene considerato semplicemente udente. Ma in realtà è diverso. È un diverso figlio di diversi“.
In che cosa consiste la vostra associazione CODA Italia?
“Siamo nati nel 2014, siamo un’associazione di promozione sociale. Questo significa che ognuno di noi dedica il proprio tempo all’associazione in maniera volontaria, avendo poi un proprio lavoro e una propria vita. Ci occupiamo prevalentemente di due cose. La prima è evitare la solitudine ai CODA tramite il confronto, sia per gli adulti che per i bambini in maniera ludica. La seconda sono gli eventi tramite cui far vedere la lingua dei segni. Che quarant’anni fa era quasi una vergogna, perfino a scuola. Noi invece ci teniamo a mostrarla, perché è la lingua dei nostri genitori. Una lingua vera e propria, e un nostro grande orgoglio“.
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