Sono trascorsi vent’anni esatti dal 21 febbraio 2001, il giorno in cui a Novi Ligure (in provincia di Alessandria) avvenne uno dei delitti più efferati degli ultimi decenni. La 41enne Susanna Cassini e il figlio Gianluca De Nardo (11 anni) furono massacrati a coltellate, 97 in tutto, all’interno della villetta in cui abitavano. Anche i magistrati e i carabinieri con più esperienza alle spalle rimasero sconcertati di fronte a un crimine così brutale.
Gli autori del delitto di Novi Ligure
In un primo momento, la testimonianza di Erika De Nardo, figlia di Susanna e sorella di Gianluca, portò fuori strada l’opinione pubblica. La 16enne, infatti, indicò come autori del delitto dei ladri di origine albanese, spingendo alcuni cittadini a lamentarsi col sindaco per il gran numero di immigrati presenti nella città piemontese. Fu persino organizzata una fiaccolata contro l’immigrazione. Anche nei “salotti televisivi” non si parlava d’altro: gli opinionisti erano pressoché certi della colpevolezza dei “criminali albanesi”.
Ma c’era qualcosa che non tornava nella versione di Erika. Se i malviventi avevano fatto irruzione per rubare qualcosa, perché nessun oggetto di valore era stato portato via dalla villetta? E perché i presunti ladri avevano scelto un orario così “scomodo” (le nove di sera) per fare irruzione nella casa? Dietro a quegli elementi fuori posto di nascondeva una verità agghiacciante: a uccidere Susanna e Gianluca era stata Erika.
Lo svolgimento delle indagini
Erika aveva ucciso la madre e il fratello assieme al suo ragazzo, il diciasettenne Mauro “Omar” Favaro. I carabinieri riuscirono ad accertare l’identità dei colpevoli anche grazie ad alcune tecniche di investigazione forense (piuttosto innovative per quel periodo), tra cui l’analisi delle tracce ematiche (Bloodstain Pattern Analysis). La conferma definitiva arrivò grazie al parere finale del medico legale che eseguì le autopsie. Per indurre Erika e Omar a confessare, i carabinieri li portarono a fare un sopralluogo nella villetta, per poi lasciarli per quattro ore all’interno di una stanza della caserma dov’erano state piazzate delle telecamere e dei microfoni. Fui qui che Erika si tradì: dopo aver rassicurato Omar, molto più spaventato di lei, mimò il gesto di una coltellata e chiese: “Ma quante gliene hai date?”.
Il movente
Anche dopo aver scoperto l’identità degli assassini, restava ancora un enorme interrogativo privo di una risposta: “Perché?”. Perché due adolescenti erano arrivati a compiere un delitto così atroce? Cosa li aveva spinti a tanto? La risposta, tutt’altro che scontata, arrivò dopo dieci mesi di perizie psichiatriche e ricostruzione degli eventi. Gli esperti rivelarono che sia Erika che Omar soffrivano di disturbi della personalità ed erano distaccati dalla realtà in cui vivevano. Lei, narcisista e incline a controllare i rapporti, esercitava un forte ascendente su di lui, che invece tendeva a compiacere le altre persone ad anticiparne i desideri. Secondo gli psicologi, nella loro mente si vedevano come una “coppia assoluta”, ostacolata dalle regole imposte dalla famiglia di Erika. Nei loro piani, anche il padre di lei, Francesco De Nardo, avrebbe dovuto essere una delle vittime.
Vent’anni dopo
Da allora sono trascorsi vent’anni. Erika e Omar hanno scontato la loro pena in carcere e sono tornati in libertà (rispettivamente nel 2011 e nel 2010). Favaro vive in Toscana e da quando è uscito di prigione non è quasi mai apparso in pubblico. L’unica eccezione è stata un’intervista al programma Matrix nel 2011. Erika, invece, si è laureata in filosofia mentre si trovava in carcere e dopo aver lasciato la Comunità Exodus di don Antonio Mazzi si è sposata. Il padre, nonostante tutto, è sempre rimasto al suo fianco. Negli ultimi vent’anni non ha mai detto una parola in pubblico sulla tragedia che ha distrutto la sua famiglia.