Il 72% dei medici ospedalieri sarebbe pronto ad abbandonare le strutture pubbliche, in parte perché stressato a causa della pandemia di Covid-19. Il dato emerge da un sondaggio della Federazione Cimo-Fesmed, il sindacato che rappresenta oltre 18mila camici bianchi, condotto su 4.258 rappresentanti della categoria su iniziativa del presidente Guido Quici e ripreso dall’Agi.
E l’identikit dei medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale che emerge da questa indagine è allarmante. Molti di loro sono infatti stanchi, demoralizzati, rassegnati o si sentono addirittura abbandonati. Oltre al Covid, ad influenzare il loro stato d’animo ci sono anche fattori come la considerazione sociale o le retribuzioni. Ma anche organizzazione aziendale, carichi di lavoro, aspettative di carriera e responsabilità.
Tutti elementi che spingono molti dottori italiani a valutare nuove prospettive dal punto di vista professionale, valutano una “fuga” dagli ospedali. Dal sondaggio è emerso che, sebbene il 72% degli intervistati se potesse tornare al liceo sceglierebbe comunque questa carriera, solo il 28% di loro continuerebbe ad operare in una struttura pubblica.
Il restante 72%, invece, prenderebbe altre strade. Di questi, infatti, il 26% preferirebbe trasferirsi all’estero; il 19% valuta di anticipare il pensionamento; il 14% lavorerebbe in una struttura privata; il 13% si dedicherebbe infine alla libera professione. Fra le cause di questa insofferenza troviamo ad esempio le ricadute che le carenze del sistema sanitario hanno sulla qualità della vita dei dottori.
Basti pensare che il 30% degli intervistati ritiene la propria sfera privata “insufficiente” o “pessima”. Perché? Molto dipende dai carichi di lavoro. Il 73% afferma infatti di lavorare più di quanto previsto dal proprio contratto (38 ore alla settimana); con il 20% di questi costretto a turni che sfondano il tetto delle 48 ore settimanali. Questo dato implica ovviamente delle ricadute sulle ferie in arretrato.
Poiché costretti a coprire i turni in reparti sotto organico, il 43% dei medici ospedalieri dichiara di aver accumulato fra gli 11 e i 50 giorni di ferie; il 24% fra i 51 e i 100; il 18% più di 100 giorni. L’insoddisfazione dei camici bianchi emerge anche da alcune attività quotidiane come il tempo dedicato a compilare atti amministrativi, che per il 56% sarebbe eccessivo; mentre il 40% ritiene insufficiente quello dedicato alle attività sanitarie o all’ascolto dei pazienti.
Drastico è anche il calo delle aspettative sia per la propria carriera sia in termini di retribuzione. Un dato che accomuna sia gli assunti del Ssn da meno di cinque anni sia gli intervistati che lavorano negli ospedali pubblici da almeno 15 anni. Da ultimo, ad incidere sulla situazione è stato ovviamente il Covid-19. Per il 69% dei medici, infatti, la pandemia ha avuto un impatto importante sul proprio livello di stress e benessere psicofisico.
Il 64%, inoltre, reputa “alto” il rischio professionale corso in questi due anni di pandemia; mentre per il 55% degli intervistati il Covid ha messo a repentaglio anche la sicurezza della propria famiglia. Un dato che dovrebbe far riflettere le istituzioni è che solo il 5% dei medici dice di aver trovato un aiuto concreto durante questo difficile periodo nello Stato o nella società. Meglio hanno fatto la solidarietà dei colleghi (57%) oppure familiari e amici (24%). L’8%, infine, ha risposto “nessuno”.
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