Su una cosa, perlomeno, sono (quasi) tutti d’accordo fin dall’inizio: per sconfiggere la pandemia di Covid-19 l’unica arma è il vaccino. Su questo argomento i tanti esperti che da un anno e mezzo popolano i salotti televisivi e le prime pagine dei giornali hanno trovato un punto comune. Eppure tanti italiani – almeno 3,7 milioni fra gli over 50 – non si sono ancora vaccinati.
“Se lo dice la scienza…”
A questo punto una domanda sorge spontanea: non è che lo scetticismo, la sfiducia, la preoccupazione e l’avversione verso i vaccini siano frutto delle tante e spesso contraddittorie dichiarazioni che gli esperti hanno rilasciato dall’inizio dell’emergenza? A posteriori, infatti, le loro posizioni sono cambiate, spesso radicalmente, sui temi più disparati.
Qualcuno potrà obiettare che, come diceva il poeta americano James Russell Lowell, “solo i morti e gli stupidi non cambiano mai opinione”. E fin qui siamo d’accordo. Però forse un cambio di rotta così netto ha avuto, e sta avendo, anche degli effetti negativi. Paradossalmente, proprio i consigli contraddittori degli esperti hanno finito per soffiare sulla fiamma nel braciere dello scetticismo e del negazionismo, fornendo così molti argomenti ai cosiddetti ‘no vax’.
Infodemia, il monito di Casellati
Secondo la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, la colpa andrebbe condivisa anche con i media. “Basti pensare all’ingiustificata visibilità data ai virologi che si sono resi protagonisti di un susseguirsi di dibattiti frammentari, contraddittori e confusi, con opinioni espresse e poi ritrattate, provocando il pericoloso ‘fai da te’ dei cittadini sui loro comportamenti sanitari”, ha detto a luglio la seconda carica dello Stato. Casellati ha quindi invitato i mezzi d’informazione ad evitare che si sviluppi una “infodemia”.
Forse ormai è troppo tardi. Certo è che anche per i giornalisti è davvero complicato poter fornire un’informazione di qualità e affidabile al pubblico senza avvalersi delle parole degli esperti. Che, forse, potrebbero a loro volta essere meno tranchant nei giudizi, risparmiando ipotesi e valutazioni personali subito ritrattate nell’arco di poche settimane. Ripercorriamo, dunque, le principali contraddizioni a cui abbiamo assistito in questo anno e mezzo di pandemia.
Covid e il “rischio 0” di Burioni
Partiamo da uno degli immunologi più in vista, Roberto Burioni, che a marzo la rivista Foreign Policy ha definito “il dottor Fauci italiano”. L’anno scorso, a infiammare il dibattito erano state le sue parole sulla circolazione del Covid in Italia a Che tempo che fa, su Rai 2. Il 2 febbraio 2020, infatti, Burioni aveva detto che “io ritengo che in questo momento in Italia il rischio di contrarre questo virus è 0”. Parole che, qualche mese più tardi, nel pieno del lockdown, hanno fatto indignare molti, scatenando vibranti polemiche.
Tanto che, due mesi più tardi, lo stesso Burioni si è visto costretto a tornare su quell’uscita per correggere il tiro. “Io ho fatto l’affermazione ‘in Italia in questo momento il rischio è zero’ il 2 febbraio. In quel momento le autorità ci dicevano che in Italia il virus non c’era. La mia colpa è dunque – ha scritto su Facebook il 27 marzo 2020 – quella di non avere avuto la capacità di prevedere che il virus sarebbe stato trovato diciotto giorni dopo. Ma io sono un medico, non un veggente. E questa incapacità di predire il futuro effettivamente è un mio limite”.
Ilaria Capua e la mascherina
C’è poi Ilaria Capua, direttrice dell’One Health Center of Excellence dell’Università della Florida. Nel suo caso galeotta fu la mascherina. Il 7 aprile 2020, ospite di Dimartedì su La7, parlando delle misure di protezione personale diceva che “io personalmente la mascherina non la porto”. Poi, l’11 ottobre di quello stesso anno, l’inversione a U: “La mascherina va portata sempre, sottolineo sempre”. Tanto che sul tema Capua ha anche pubblicato un libro per sensibilizzare i bambini sul suo uso.
Il ‘caso’ vaccini con Crisanti
Andrea Crisanti, professore all’Università di Padova, ha invece acceso il dibattito attorno ai vaccini anti Covid. Nel novembre dello scorso anno aveva infatti detto che “a gennaio non lo farei” criticando la mancanza di trasparenza dei dati da parte delle aziende farmaceutiche sugli studi clinici effettuati. Le sue dichiarazioni avevano provocato anche la dura reazione dell’Aifa, con il dg Nicola Magrini che aveva parlato di affermazioni “molto gravi”. Secondo Magrini, inoltre, Crisanti “con le sue parole danneggia il Paese”.
Con l’arrivo del nuovo anno, ecco che arriva pure la virata: “Non sono un no vax, certo che farò il vaccino”. E, infatti, nel gennaio 2021 Crisanti si è perfino vaccinato in diretta Facebook; scherzando sulla rilevanza pubblica dell’evento: “Avrei preferito una cerimonia più sobria, per il mio carattere”. Ma non finisce qui. A suscitare perplessità sono state anche le sue dichiarazioni sul vaccino AstraZeneca.
Il 7 aprile 2021, nel corso di un’intervista a Sky Tg24, ha affermato che “AstraZeneca alle donne giovani lo consiglierei senza dubbio, è tra i più sicuri al mondo”. Non più tardi del 10 giugno ha poi cambiato idea, definendo gli open day per i più giovani con questo siero una cosa “da repubblica delle banane”. E all’Adnkronos ha aggiunto: “Mi chiedo: come è possibile che sia stata presa l’iniziativa di dare questo vaccino in questa fascia d’età, al di là delle raccomandazioni esistenti? Il Cts era stato informato?”.
Covid, Galli su AstraZeneca
Anche un altro degli esperti più in vista, il professor Massimo Galli del Sacco di Milano, come il collega Crisanti è ‘scivolato’ sulla buccia di banana di AstraZeneca. Ad aprile ai giornali diceva infatti che perfino una Tac poteva essere più pericolosa del siero anglo-svedese; salvo poi tornare sui suoi passi l’11 giugno a Tv2000, spiegando che AstraZeneca sotto una certa età “non andava usato”.
D’altro canto, la stessa Ema, l’agenzia europea del farmaco, a fine marzo assicurava che “non c’è nessun rischio specifico legato all’età” per questo vaccino. Mentre a giugno l’Italia e altri Paesi Ue hanno sospeso la somministrazione di AstraZeneca al di sotto dei 60 anni. Segno che non tutto è andato come previsto.
Pregliasco sul rischio contagi
Nemmeno Fabrizio Pregliasco, il “più coerente” tra gli esperti secondo una classifica di Reputation Science, è immune da qualche contraddizione. Il 4 febbraio 2020, infatti, il direttore sanitario del Galeazzi di Milano diceva che “i cittadini non devono avere paura di incontrare il coronavirus perché non sta circolando”. Concetto ribadito una decina di giorni più tardi bollando come allarmiste le persone che indossavano la mascherina. Infine, il cambio di rotta il 23 febbraio: l’arrivo del virus? “Ce lo aspettavamo, questa patologia è un po’ perfida”.
Ricciardi e un Oms ‘ondivago’
Le (tante) contraddizioni di virologi, immunologi, medici e ricercatori sorprendono un po’ meno se i primi a generare confusione e incertezza sono gli enti internazionali o loro esponenti. Come l’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, che di certo non ha brillato nella gestione della pandemia. Nelle prime settimane dell’emergenza, infatti, ha sottovalutato il rischio di trasmissione da parte degli asintomatici nonché l’uso delle mascherine.
Si trattava ovviamente di giorni di estrema incertezza, anche se molte dichiarazioni sono presto risultate del tutto prive di fondamento. Il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ad esempio, inizialmente sosteneva che “non ci sono prove che il virus si trasmetta da uomo a uomo”. A fine febbraio Walter Ricciardi, consigliere del Ministero della Salute, affermava invece che “dobbiamo ridimensionare questo grande allarme” del Covid; ma anche che “è un errore fare i tamponi agli asintomatici”.
Il 30 aprile il capo del programma emergenze sanitarie dell’Oms, Mike Ryan, aveva perfino esaltato l’esempio svedese. “La Svezia è un modello da seguire sulla strada di una nuova normalità”, aveva commentato. Poi l’epidemia è diventata pandemia e infine endemia. E l’Oms si è rimangiato pressoché tutto, con tanto di scuse: “L’Oms non aveva mezzi per verificare sul campo – ha detto Larry Gostin al New York Times –. O, se vogliamo essere meno pietosi, non ha fatto abbastanza per farlo, e si è fidata della Cina”.
Zangrillo, virus “clinicamente morto”
Dulcis in fundo, torniamo in Italia con Alberto Zangrillo del San Raffaele di Milano. Che a fine maggio dello scorso anno parlava di un virus che “clinicamente non esiste più”, aggiungendo poi che “terrorizzare il Paese è qualcosa di cui qualcuno di deve prendere la responsabilità”. Poi la bufera, culminata con le critiche di Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità e membro del Comitato tecnico-scientifico.
Infine, il passo indietro in un’intervista al Corriere della Sera: “Io sono per dire la verità. A maggio il virus era in ritirata, oggi è tornato a mordere, probabilmente anche per comportamenti negligenti. Ma solo di pochi. La maggior parte della popolazione è coscienziosa, giovani compresi. Lo ripeto: con il virus dobbiamo imparare a convivere”.
No vax o vax-confusi?
Insomma, le cose dette sono molte, altrettante le contraddizioni. Un vero e proprio oceano di informazioni in cui il navigare a vista non ha di certo aiutato molti indecisi a trovare certezze e rassicurazioni. Anzi, il paradosso è che il continuo cambio di rotta degli esperti ha acuito la confusione di alcuni conducendoli nel limbo degli indecisi che ancora non si sono vaccinati.
Al tempo stesso, ha rafforzato le tesi di chi invece era già contrario e che alle sue personalissime ‘certezze’ non ha visto contrapporre delle argomentazioni così granitiche, o perlomeno coerenti. E così ai no vax si sono aggiunti anche i vax-confusi che si sentono traditi dal caro e vecchio “se lo dice la scienza…”.