L’impatto del Covid sulla nostra vita è stato pesante. Per mesi la presenza del virus ha condizionato ogni aspetto della nostra quotidianità. Ha limitato i nostri spostamenti, ha cambiato il nostro modo di approcciarci agli altri, ha portato il dolore e la morte in molte case e la lista potrebbe proseguire all’infinito. Ora, però, che il virus non è più sulla cresta dell’onda e che il peggio, almeno per il momento, sembra essere alle spalle ci rendiamo conto di come, anche in sua assenza, l’esperienza che abbiamo vissuto condizioni molti aspetti della nostra vita di tutti i giorni. Non per forza in negativo, è bene dirlo, ma di certo in maniera importante.
Gli aspetti della nostra quotidianità che sono stati fortemente condizionati dal virus e dall’esperienza della pandemia sono numerosi. Un esempio è l’attenzione che prestiamo all’igiene delle mani. Secondo una ricerca, nata dalla collaborazione tra Gruppo Credem e l’Alta Scuola in Media Comunicazione e Spettacolo (ALMED) dell’Università Cattolica, per quasi due italiani su tre (65%) lavarsi le mani è divenuto più importante con il Covid, che ha portato la consapevolezza di come la scarsa igiene delle mani sia un importante veicolo di trasmissione dei germi. L’arrivo del Covid e la paura del contagio ha modificato le abitudini degli italiani: il 65% degli intervistati, infatti, con la pandemia ha iniziato a dare più importanza all’igiene delle mani e il 55% ha affermato di lavarsele più frequentemente da quando è comparso il Covid.
Un dettaglio forse piccolo, ma che rende l’idea di come il Covid sia ancora presente, se non sotto forma di malattia quanto meno sotto forma di pensiero.
Un altro comparto che ha dovuto fare i conti con grandi cambiamenti è stato quello della ristorazione e dei bar. In molti non hanno superato indenni due anni di chiusura forzata e non hanno mai riaperto. Altri, ancora oggi, stanno facendo i conti con le fatiche economiche legate al Covid. Allo stesso tempo, però, la pandemia ha portato in dote un cambiamento interessante e, sembra, molto apprezzato. Stiamo parlando dei tavolini all’aperto, i cosiddetti dehor. L’aumento di tavoli e spazi attrezzati all’esterno di ristoranti, bar, pub e altri pubblici esercizi riscuote largo consenso tra i consumatori: tre italiani su quattro – il 75% – lo ritengono un fatto positivo. Tra gli italiani che promuovono l’aumento di posti, il 50% ritiene che la maggior disponibilità di tavolini nelle piazze e nelle strade permetta di godersi meglio la bellezza dei luoghi, mentre un 43% preferisce il consumo all’aperto perché permette, d’estate, di stare più freschi senza aria condizionata. Anche d’inverno, però, la soluzione piace. Resta da vedere cosa accadrà quando scadranno le proroghe sulle concessioni per i dehor.
La rivoluzione più importante, soprattutto in Italia, portata dalla pandemia è, però, quella del lavoro da casa. Una rivoluzione che potrebbe avere un impatto enorme sull’ambiente, riducendo, dicono gli studi, di molto la produzione di gas serra. Meno auto in strada, ma anche meno consumo di energia negli uffici. Risultato? Minor inquinamento. Una rivoluzione che, inoltre, è stata accolta con gioia da moltissimi lavoratori, che sono ben contenti di poter evitare il lungo e spesso dispendioso viaggio verso i luoghi di lavoro. Allo stesso tempo, però, in Italia il lavoro agile continua a non voler decollare.
Stando ai dati raccolti dall’Osservatorio del Politecnico di Milano, i lavoratori italiani che lavorano (anche) da remoto sono oggi circa 3,6 milioni, quasi 500 mila in meno rispetto al 2021. Un calo che si avverte principalmente nella Pubblica Amministrazione e nelle PMI, mentre è in crescita nelle imprese grandi (qui coinvolge 1,84 milioni di lavoratori, circa metà degli smart worker complessivi). Secondo le previsioni del Politecnico, entro il 2025 circa il 60% delle aziende italiane pensa comunque di adottare una forma di lavoro flessibile o da remoto. Questo per rispondere alle nuove esigenze dei lavoratori, in particolare dei giovani, sempre più propensi ad accettare solo proposte di lavoro che permettano loro di conciliare al meglio professione e vita privata.
La chiave di volta per convincere anche le aziende più restie potrebbe essere quella della riduzione dei costi. I dati, in questo senso, sono emblematici: si stima che già solo a fronte di due giorni di lavoro da remoto a settimana si possa arrivare a risparmiare circa 500 euro all’anno a postazione.
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