Il Coronavirus sarà sicuramente la parola dell’anno e tutto cominciò allora: giovedì 20 febbraio 2020, ore 12.30. Laura Ricevuti, medico del reparto di Medicina dell’ospedale di Codogno, e Annalisa Malara, anestesista di Cremona, decidono di compiere un gesto che la prassi clinica all’epoca non prevede ma che, di fatto, cambierà per sempre la vita di tutta l’Italia e, col tempo, anche quella del resto del mondo.
L’inizio della vicenda del ‘paziente 1’ italiano del Coronavirus
48 ore prima Mattia Maestri, un manager 38enne amante dello sport, si è presentato nel Pronto Soccorso di Codogno perché è da quattro giorni che ha la solita influenza e dispnea. Tuttavia le lastre evidenziano una leggera polmonite. Laura Ricevuti, fin dal primo momento, chiede a Mattia se fosse stato in Cina, ma lui parla di un viaggio a New York, lontano nel tempo, a dicembre. Il profilo non autorizza quindi un ricovero coatto e lui preferisce tornarsene a casa. È solo però questione di poche ore: il 19 notte, infatti, rientra e quella polmonite è già gravissima. Per la prima volta farmaci e cure risultano inefficaci su un’infiammazione apparentemente banale. La rapidità e gravità dell’attacco virale diventa impressionante. Dalla medicina si passa in pochi istanti alla rianimazione.
Ricevuti convoca in ospedale la moglie di Mattia e la sottopone ad altre domande. Ipotizza che possa essere Covid, chiarendo però di essere impossibilitata a fargli il tampone, perché tale prassi era prevista solo per chi fosse tornato dalla Cina. È a quel punto che la moglie di Mattia si ricorda della cena di lavoro con un collega che era tornato dal Paese asiatico. Laura Ricevuti si confronta sulla questione con la collega Annalisa Malara, la quale aveva già visionato la tac (impietosa) di quello che poi sarà il ‘paziente 1’ e che lo stava per intubare col collega Luca Mugnaga.
“Sono entrata in rianimazione, ho chiesto agli infermieri di bardarsi di più, ho incontrato la dottoressa Malara e le ho detto del viaggio”, raccontò Ricevuti su Il Cittadino. La Dottoressa sostiene la necessità del tampone; Malara riferisce al suo primario Enrico Storti e fa partire l’iter diagnostico e burocratico.
L’esito del tampone positivo nella tarda serata del 20 febbraio
L’impossibile, a questo punto, non può più essere escluso. Non resta che esplorare l’ignoto: il Coronavirus si è nascosto proprio qui. È Annalisa Malara a insistere per il tampone, anche se il protocollo non lo prevede. E anche se, in definitiva, quella cena col collega tornato dalla Cina è una pista debole: lo aveva incontrato 15 giorni prima e il collega stesso era tornato 15 giorni prima del loro incontro dalla Cina. A cena erano anche stati seduti in punti della sala piuttosto lontani.
Nella tarda mattinata del giorno successivo, però, Malara chiede comunque l’autorizzazione di un tampone immediato all’azienda sanitaria. I protocolli italiani non lo giustificano: se la Dottoressa lo ritiene necessario, deve assumersene la responsabilità e potrà poi procedere. Insieme ai suoi colleghi sceglie di forzare le regole mediche, la cui cieca obbedienza si rivelerà tra le cause che ha permesso a questo virus di girare indisturbato per settimane. Il tampone di Mattia parte per l’ospedale Sacco di Milano poco prima delle 13 di giovedì. La telefonata che conferma il Covid-19 le arriva poco dopo le 20.30: Mattia è il primo paziente italiano, accertato nel nostro Paese, affetto da Coronavirus. La prima agenzia di stampa esce alle ore 23.18 della sera stessa: è un macigno.
Da quel momento in poi il mondo è cambiato
Nella mattinata del 21 febbraio Codogno e altri nove comuni del lodigiano vengono messi in quarantena; 50 mila abitanti sono in isolamento domiciliare. Un’ordinanza limita tutte le manifestazioni che creano aggregazione, come le messe, il carnevale e gli eventi sportivi. Vengono chiuse le scuole, le attività commerciali e i negozi tranne i servizi di pubblica utilità, come le farmacie e gli alimentari. Alla bassa Lombardia si aggiunge in giornata anche il comune di Vo’ Euganeo. Al termine della giornata verranno confermati 17 casi di contagio e in Veneto si registrerà la prima (purtroppo di una lunga serie) vittima: Adriano Trevisan, un uomo di 77 anni di Monselice, in provincia di Padova.
Il giorno dopo il numero di pazienti positivi al test del Coronavirus salgono a 132: 89 casi in Lombardia, 25 in Veneto, 9 in Emilia-Romagna, 6 in Piemonte. Nella sede della Protezione Civile il Governo emana un decreto legge che sottopone le due aree interessate a drastiche misure di contenimento per due settimane. Aree che diventano zone rosse. In Lombardia e Veneto vengono chiuse tutte le scuole di ogni ordine e grado, i musei, le chiese, i teatri, i cinema, le discoteche i bar e ristoranti (ma solo dalle 18 alle 6) e vietate tutte le manifestazioni a carattere culturale, ludico, sportivo e religioso.
Dal lockdown totale alla situazione odierna, con la paura di una seconda ondata di Coronavirus
In poco meno di due settimane tutte queste misure verranno estese su tutto il territorio nazionale e a queste verranno aggiunte la chiusura di tutti i negozi e attività commerciali, eccezion fatta per i servizi di pubblica utilità. La conta dei contagiati e delle vittime verrà aggiornata quotidianamente e diventerà purtroppo sempre più tragica. Per un lockdown totale in tutta Italia che durerà quasi tre mesi e nel quale, forse, potremmo essere destinati a tornarvi a breve.
Sono passati “appena” sei mesi da quell’evento che ha cambiato, di fatto, le nostre vite. Grazie al gesto coraggioso di queste due dottoresse e delle loro equipe, si è riusciti a non fare peggiorare una situazione che si è purtroppo rilevata comunque già estremamente grave. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, le ha da poco nominate Cavaliere al merito della Repubblica, con altri 54 italiani, per il loro impegno nell’emergenza sanitaria di questi mesi. A loro e a tutti i medici, infermieri, soccorritori e operatori socio-sanitari andrà sempre tutta la nostra infinita riconoscenza e gratitudine.