Rivedere il sistema di monitoraggio dei dati della pandemia in Italia e rendere i numeri accessibili nel dettaglio, “interoperabili in formato aperto”. È questa la richiesta principale della Fondazione Gimbe, che ha diffuso nella giornata di giovedì i dati relativi ai numeri della pandemia di coronavirus in Italia nell’ultima settimana. La richiesta della fondazione indipendente con sede a Bologna si spiega con la necessità di un cambio di rotta immediato per evitare tanto un lockdown nazionale quanto il collasso del Sistema sanitario.
“Terapie intensive sopra la soglia di saturazione in 11 regioni, 2.918 decessi in una settimana, impennata di contagi tra il personale sanitario, oltre 19mila operatori positivi negli ultimi 30 giorni. Serve un cambio di rotta su criteri di monitoraggio e dati open”. Questo l’allarme di Gimbe nel rapporto che diffonde i dati che vanno dal 4 al 10 novembre. Rispetto alla settimana precedente, c’è stato un amento di oltre 235mila casi di coronavirus. Salgono a 28.633 i pazienti ricoverati e a 2.971 quelli in terapia intensiva. Le persone attualmente positive, inoltre, sono 590mila.
“Nell’ultima settimana – afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, in una nota che accompagna i dati – si conferma l’incremento di oltre il 40% dei casi attualmente positivi che si riflette sul numero dei pazienti ricoverati con sintomi e in terapia intensiva, con gli ospedali sempre più vicini alla saturazione, oltre che sul numero di decessi, che nell’ultima settimana hanno superato quota 2.900″.
“Negli ultimi 30 giorni – aggiunge Cartabellotta – si sono verificati 19.217 contagi, rispetto ai 1.650 dei 30 giorni precedenti. Oltre al rischio di focolai ospedalieri, in Rsa e in ambienti protetti, preoccupa l’impatto sul personale sanitario, già in carenza di organico oltre che provato dalla prima ondata”.
Tra i dubbi espressi dalla Fondazione Gimbe, anche quelli sull’indice Rt come parametro principale per le decisioni riguardanti le restrizioni a livello regionale. “L’attribuzione dei colori alle regioni – spiega Cartabellotta – viene effettuata utilizzando due parametri principali. Lo scenario identificato dai valori dell’indice Rt e la classificazione del rischio attraverso i 21 indicatori del DM 30 aprile 2020. Tuttavia, il valore di Rt è inappropriato per informare decisioni rapide perché, oltre ad essere stimato sui contagi di 2-3 settimane fa, presenta numerosi limiti”.
“In particolare – aggiunge il presidente di Gimbe – viene stimato solo sui casi sintomatici (circa un terzo del totale) si basa sulla data di inizio dei sintomi (che molte regioni non comunicano per il 100% dei casi) determinando una sottostima dell’indice che è strettamente dipendente dalla qualità e tempestività dei dati inviati dalle regioni. Quando i casi sono pochi, rischia di sovrastimare la diffusione del contagio“.
Per Cartabellotta, quindi, il sistema di monitoraggio dei dati, che determina di fatto la gravità delle restrizioni, non è adeguato. “È tecnicamente complesso – conferma –, soggetto a numerosi ‘passaggi’ istituzionali. Risente di varie stratificazioni normative, attribuisce un ruolo preponderante all’indice Rt che presenta numerosi limiti e, soprattutto, fotografa un quadro relativo a 2-3 settimane prima. Ovvero, usando lo specchietto retrovisore, invece del ‘binocolo’, si rallenta la tempestività e l’entità delle misure per contenere la curva epidemica“.
“Senza un immediato cambio di rotta sui criteri di valutazione e sulle corrispondenti restrizioni, solo un lockdown totale potrà evitare il collasso definitivo degli ospedali e l’eccesso di mortalità. Anche nei pazienti non Covid“ conferma il presidente della Fondazione.
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