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Tra i più colpiti durante la prima ondata della pandemia di coronavirus (oltre il 70% delle attività chiuse, più del 30% di fatturato in meno rispetto al 2019, secondo i dati Istat), il settore della ristorazione torna a rivivere l’incubo della scorsa primavera e fa sentire la sua voce contro le nuove disposizioni previste dal nuovo Dpcm.
A farsi portavoce della paura di un intero settore è la ristoratrice romana Roberta Pepi, proprietaria del ristorante ‘Da Robertino’ nel quartiere Monti, che definisce le misure stabilite dall’ultimo decreto, senza mezzi termini, “un delirio totale” e teme che il suo settore sia considerato un capro espiatorio dopo la risalita della curva dei contagi.
“Il coronavirus c’è ma il problema non sono i ristoranti”
“Io ho riaperto solo per non essere dimenticata” esordisce Roberta Pepi. Secondo la sua testimonianza, è passato dal garantire 90 coperti a farne non più di dieci. “Una situazione al limite dovuta alla crisi, lo capisco, ma che oggi è diventata insopportabile” si sfoga l’imprenditrice.
Nel mirino il nuovo Dpcm che dispone norme più restrittive, con limiti agli orari, alla capienza e alla tipologia di servizio. “Queste norme non hanno ratio, individuano nei ristoranti e nei locali in genere il capro espiatorio – sostiene Roberta Pepi -. Ci hanno scelto come vittime sacrificali, hanno creato un dualismo tra ristoratori e cittadini che non esiste”.
Per l’imprenditrice, dunque, non è il settore della ristorazione il principale responsabile dell’innalzamento della curva dei contagi, ma le nuove regole lascerebbero immaginare il contrario. “Io non sono negazionista, so che il virus c’è e circola ma non è nei ristoranti il problema – spiega –. Lo può essere nelle scuole, nei trasporti, non certo nei locali dove da mesi vengono rispettate le norme igieniche, dove si sono già fatti tanti sacrifici. Conte non ha tenuto in considerazione quanto abbiamo fatto”.
La situazione all’estero: la testimonianza del ristoratore italiano in Belgio
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Quello della chiusura del settore della ristorazione è un problema che affligge non solo l’Italia. In Paesi come Spagna e Francia i rispettivi governi hanno disposto lockdown localizzati, con conseguente chiusura di bar, ristoranti e simili. Nel Regno Unito è aperto il dibattito sul coprifuoco per limitare gli assembramenti, nei Paesi Bassi e in Belgio la chiusura del settore della ristorazione è totale. A confermare le decisioni prese in particolare dal governo belga è Filippo Marino, proprietario di un’attività nei pressi del Parlamento Europeo a Bruxelles.
“Tutti i bar, ristoranti e caffè in tutto il Belgio sono chiusi per quattro settimane per l’aumento dei contagi – racconta -. Il governo ha allocato 500 milioni di euro in aiuti al settore. Come saranno distribuiti non lo sappiamo, ma si parla di un aiuto di 3mila euro a ristorante. Non sono tanti. Nella prima ondata c’è stato un contributo statale di 4mila euro a ristorante, ma ci si paga forse un affitto. Allora abbiamo perso tra i 150 e i 180mila euro. Poi, tra il 40% e il 50% rispetto all’anno prima. Credo comunque che la chiusura sia giusta. Forse sono una voce fuori dal coro, ma il governo belga ha fatto disastri“.
Quello che accomuna l’imprenditore italiano in Belgio e la collega romana è la critica verso le misure anti-Covid in generale che colpiscono il loro settore. “Si sapeva che ci sarebbe stata una recrudescenza del virus e non si è fatto molto per fermarla – afferma Filippo Marino -. Il governo ha dato misure contraddittorie, molti non le hanno rispettate e non ho visto controlli. Ora è così, per colpa di tanti che si richiamano sempre alla responsabilità collettiva, senza prendersi la responsabilità delle proprie azioni”.