Vita difficile quella degli operatori sanitari in tempi di Coronavirus. Così nell’arco di poche ore arrivano due testimonianze, una da Varese e una da Napoli, in cui altrettante infermiere raccontano le difficoltà sociali che stanno vivendo in queste drammatiche settimane.
“Questo primo maggio, anche a livello emotivo, sarà diverso“, racconta Alessandra, infermiera da sei anni in neuropsichiatria infantile. Oggi è volontaria nel reparto COVID-19 di Pneumologia dell’Ospedale di Circolo di Varese. “Mi sento orgogliosa di mettere in gioco la mia vita per svolgere al meglio questa professione“, spiega.
Dalla rabbia all’orgoglio
Nonostante questo, però Alessandra ha subito atti discriminatori da persone vicine: “Mi hanno detto di stare lontana perché sono una untrice e che portavo il Coronavirus. Queste offese mi hanno fatto male, non ho saputo reagire. A mente fredda però, e passata la rabbia“.
“Ho capito che io svolgo il mio lavoro a testa alta, seguendo i principi etici e deontologici. Io metto in atto tutte le precauzioni, quelle persone invece non rispecchiano quello che realmente gli italiani pensano di noi e del nostro impegno in questa battaglia al Coronavirus“, conclude Alessandra
Chi non riesce ad affrontare la quotidianità con la stessa filosofia è invece Teresa Vetro. Infermiera di Torre del Greco impegnata nel reparto del II Policlinico di Napoli dedicato ai malati di Coronavirus, Teresa denuncia il ritrovamento a casa di una lettera dai toni agghiacchianti.
I vicini: “Porti il Coronavirus”
“Sono infermiera pediatrica presso il reparto COVID del II Policlinico di Napoli – spiega –. Oggi, al ritorno dal lavoro, ho trovato questo messaggio nella cassetta della posta rivolto a me e mio padre. Hanno scritto ‘Grazie a te e tua figlia per aver portato il Coronavirus nel palazzo‘, ritagliando lettere di giornale“.
Una vicenda che ha notevolmente scosso la donna, che contro il Coronavirus combatte quotidianamente: “Vengo sottoposta al test ogni settimana e se fossi positiva non potrei neanche uscire di casa. Ma al di là di questo, non capisco proprio come possa nascere tanta cattiveria. Provo tanta tristezza e delusione nei confronti delle persone, della società in cui vivo e per cui lavoro. Io non penso di dover ricevere ringraziamenti per quello che faccio però fa male sapere che persone che mi hanno vista nascere e crescere possano produrre una cosa del genere“.
Conscia della pericolosità del Coronavirus, Teresa aveva cercato anche soluzioni diverse: “A inizio emergenza ho anche provato a cercare un altro alloggio, ma mi hanno sbattuto tutti le porte in faccia. Se curerei chi mi ha scritto questa biglietto? Certo che lo farei. Anzi, li ringrazio perché mi hanno fatto capire ancora di più quanto io ami il mio lavoro“.