Un anno esatto. Sembrerebbe quasi passato un’eternità e invece soltanto dodici mesi fa l’Italia ha cominciato purtroppo a conoscere da vicino il Coronavirus con la scoperta del ‘paziente 1’. Da quel momento, tante pessime novità hanno caratterizzato il nostro vivere quotidiano.
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Ore 12.30. Laura Ricevuti, medico del reparto di Medicina dell’ospedale di Codogno, e Annalisa Malara, anestesista di Cremona, decidono di compiere un gesto che la prassi clinica all’epoca non prevede ma che, di fatto, cambierà per sempre la storia di tutta l’Italia e, col tempo, anche quella del resto del mondo. Insistono per fare un tampone immediato su Mattia Maestri, un manager 38enne amante dello sport, che si è presentato nel Pronto Soccorso di Codogno 48 ore prima perché è da quattro giorni che ha la solita influenza e dispnea. Il tampone di Mattia parte per l’ospedale Sacco di Milano poco prima delle 13 di giovedì. La telefonata che conferma il Covid-19 arriva poco dopo le 20.30: Mattia è il primo nostro connazionale, accertato in Italia, affetto da Coronavirus. La prima agenzia di stampa esce alle ore 23.18 della sera stessa: è un macigno.
Codogno e altri nove comuni del lodigiano vengono messi in quarantena; 50 mila abitanti sono in isolamento domiciliare. Un’ordinanza limita tutte le manifestazioni che creano aggregazione, come le messe, il carnevale e gli eventi sportivi. Vengono chiuse le scuole, le attività commerciali e i negozi tranne i servizi di pubblica utilità, come le farmacie e gli alimentari. Alla bassa Lombardia si aggiunge in giornata anche il comune di Vo’ Euganeo. Al termine della giornata verranno confermati 17 casi di contagio e in Veneto si registrerà la prima (purtroppo di una lunga serie) vittima di Coronavirus in Italia: Adriano Trevisan, un uomo di 77 anni di Monselice, in provincia di Padova.
Il numero di pazienti positivi al test del Coronavirus in Italia salgono a 132: 89 casi in Lombardia, 25 in Veneto, 9 in Emilia-Romagna, 6 in Piemonte. Nella sede della Protezione Civile il Governo emana un decreto legge che sottopone le due aree interessate a drastiche misure di contenimento per due settimane. Aree che diventano zone rosse. In Lombardia e Veneto vengono chiuse tutte le scuole di ogni ordine e grado, i musei, le chiese, i teatri, i cinema, le discoteche, i bar e ristoranti (ma solo dalle 18 alle 6) e vietate tutte le manifestazioni a carattere culturale, ludico, sportivo e religioso.
Giorno di particolare ottimismo nel nord Italia. I contagi non sembrano aumentare in maniera così esponenziale come si temeva. E inoltre cominciano a esserci anche i primi guariti. Alcuni esponenti politici (lo schieramento è trasversale) lanciano sui social messaggi fiduciosi e appelli per un immediato ritorno alla normalità. Si pensa che nel giro di massimo due settimane le zone rosse del lodigiano e del padovano smetteranno di esserci e che, di fatto, il Coronavirus in Italia venga limitato. Ma non sarà così. Anche perché nei comuni di Alzano Lombardo e di Nembro, in Val Seriana, sono già scoppiati altri pesanti focolai.
È un weekend drammatico, soprattutto per la Lombardia. Nella notte tra il 7 e l’8 marzo l’allora presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, decreta la zona rossa per tutta la regione. Non passano nemmeno 48 ore che tutte questa misura verrà estesa sull’intero territorio nazionale e a queste verranno aggiunte la chiusura di tutti i negozi e attività commerciali, eccezion fatta per i servizi di pubblica utilità. La conta dei contagiati e delle vittime verrà aggiornata quotidianamente e diventerà purtroppo sempre più tragica. Per un lockdown totale in tutta Italia che durerà quasi tre mesi.
Una dozzina di pesanti camion militari escono da un ingresso laterale del cimitero di Bergamo. Scortati da due automobili dei carabinieri, i camion sfilano lentamente davanti al monumentale famedio di inizio Novecento che fa da ingresso al cimitero e imboccano via Borgo Palazzo, lo stradone in quel momento deserto che li avrebbe condotti verso l’autostrada. Un giovane steward, arrivato in città da pochi mesi, aveva scattato una fotografia del tragico evento e ricorda che quando vide i camion scortati dai carabinieri la prima cosa a cui pensò fu che finalmente in città erano arrivati i rinforzi ad aiutare gli ospedali cittadini. La pressione che quei camion erano venuti ad alleviare non era quella dei malati sugli ospedali, ma quella dell’enorme numero di decessi sui forni crematori della città. È il simbolo della prova unica affrontata dalla città di Bergamo. Racconta la storia di un intero Paese: il primo in Europa ad essere colpito dal Covid-19.
Domenica delle Palme. Per la prima volta in Italia un’ordinanza obbliga i cittadini a indossare obbligatoriamente la mascherina all’esterno delle proprie abitazioni e all’interno di negozi ed edifici pubblici. È la Regione Lombardia a emanare il provvedimento. Il problema è che, in quelle settimane, i dispositivi di protezione individuale scarseggiano ancora. Nelle farmacie molti provano ad accorrere per procurarsi le ultime a disposizione, ma passerà ancora qualche settimana prima che diventino merce comune. Nel frattempo, ci si arrangia con sciarpe e foulard.
La ‘pace’ politica tra le forze di maggioranza e quelle di opposizione è destinata già a finire dopo un mese scarso dall’inizio dell’emergenza. Il culmine si ha due giorni prima di Pasqua. In occasione dell’annuncio del rinnovo del dpcm sul lockdown totale, Conte risponde alle accuse di Salvini e Meloni sull’attivazione del Mes e dichiara: “Il Mes esiste dal 2012. Non è stato istituito ieri. Non è stato approvato o attivato la scorsa notte. Come falsamente e irresponsabilmente dichiarato da Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Questo governo non lavora col favore delle tenebre. Questo governo guarda in faccia gli italiani e parla con chiarezza”. Lo spirito di collaborazione tra i partiti cessa così di esistere.
A proposito sempre del capo del governo, quella di domenica 26 aprile è sicuramente la sua conferenza stampa più difficile. Nel giorno in cui moltissimi italiani speravano di potere tornare alla (semi)normalità a partire dal successivo 4 maggio, con le riaperture della stragrande maggioranza degli esercizi commerciali e con la fine della zona rossa, Conte spiazza tutti. Nessuna riapertura di bar, ristoranti, parrucchieri e chiese, come invece era preventivato. Sarà possibile solamente l’asporto. Le uniche altre novità sono la riapertura di parchi, la possibilità di visite mirate ai “congiunti”, di fare sport individuale anche lontano da casa, di celebrare funerali alla presenza di non più di 15 persone. La delusione nel Paese è palpabile, ma del resto la battaglia è ancora lunga.
Tre settimane più tardi, le tanto ambite riaperture vengono effettivamente messe in atto. Sabato 16 vengono annunciate le riprese dei negozi di vendita al dettaglio, di tutte le attività legate alla cura della persona, ristoranti, bar, pizzerie, gelaterie e pasticcerie, pub. La stessa cosa vale per gli stabilimenti balneari, le celebrazioni liturgiche e i musei. Dal 25 maggio riapriranno piscine e palestre, mentre teatri e cinema dovranno aspettare il 15 giugno. Si parla di un “rischio calcolato”, nella consapevolezza che la curva epidemiologica potrà tornare a salire. È l’inizio della Fase 2.
Dalla Fase 2 si passa abbastanza in fretta alla Fase 3. Dopo il ponte della Festa della Repubblica riaprono tutti i confini regionali. Non saranno soggetti a limitazioni gli spostamenti dall’Ue, dalla Svizzera e dal Regno Unito. Insomma, si torna (con molta cautela) a respirare. La libertà di circolazione è tornata pienamente.
Il periodo centrale della stagione estiva prosegue con pochissimi nuovi casi quotidiani e quasi nessun morto per Coronavirus. Le persone si riversano in massa nelle spiagge, per delle vacanze a forte marchio italiano. Si riscoprono infatti le bellezze del nostro Paese: un po’ per le difficoltà di potere viaggiare all’estero, un po’ anche per senso di solidarietà nei confronti degli operatori del turismo, falcidiati dalla crisi economica. Cominciano a tenersi qualche spettacolo teatrale e qualche concerto (all’aperto e rigorosamente seduto); i cinema si trasformano in ‘vecchi’ drive-in e anche le discoteche vengono riaperte. Sembra che tutto stia andando nel migliore dei modi.
Sembra, appunto, purtroppo… Perché il Coronavirus non conosce il termine “vacanza”. Prove ne siano i vari focolai che esplodono tra le discoteche e i luoghi della movida in Toscana e in Sardegna. L’impennata è tale che il governo è costretto a tornare sui propri passi e a chiudere il giorno dopo Ferragosto tutte le discoteche. Una decisione tardiva. I ‘buoi’, ormai, sono già scappati.
Per la prima volta dall’esplosione del Coronavirus i cittadini italiani si recano alle urne per delle consultazioni elettorali. In tutta Italia si viene chiamati per esprimersi sul referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari e in alcune zone del Paese si tengono anche le elezioni regionali e quelle comunali. Tutto si svolge nella massima sicurezza, ma quelli sono i giorni in cui i contagi tornano sensibilmente ad aumentare e a fare paura. Complici, tra le altre cose, anche i ritorni di nostri connazionali da Paesi stranieri in cui il virus era già cominciato a galoppare.
E infatti a inizio ottobre tornano le limitazioni. Stop alle gite scolastiche e agli sport di contatto amatoriali, massimo mille persone agli eventi sportivi e solo 30 invitati ai matrimoni. Ma soprattutto basta assembramenti in strada: i locali (ristoranti, pasticcerie e bar) chiuderanno alle 24, dalle 21 si potrà solo consumare ai tavoli o da asporto e non in piedi davanti al locale. Forte raccomandazione di evitare feste nelle abitazioni private e di ricevere persone non conviventi superiori a 6.
L’attività di ristorazione viene consentita dalle ore 5 e fino alle 18. In ogni caso al tavolo ci si potrà sedere al massimo in 4 persone, “salvo che siano tutte conviventi”. Chiusura per teatri, cinema, sale scommesse, sale bingo, sale giochi e casinò. Una serie di stop che va insieme a quello previsto per le palestre, le piscine, i centri ricreativi, i comprensori sciistici, i centri benessere, i centri termali e anche i centri sociali. Intanto la Lombardia pone il coprifuoco alle ore 23.
Per la prima volta viene introdotto il sistema dei colori: zona gialla, zona arancione e zona rossa. Quest’ultima, però, è decisamente meno rigida rispetto al lockdown della primavera perché, per quanto si debba comunque andare in giro con le autocertificazioni, i motivi per i quali ci si può spostare sono superiori rispetto a quelli più limitati di marzo, aprile e maggio 2020. Il coprifuoco viene anticipato alle ore 22.
Alle porte di Natale vengono introdotte delle misure ad hoc per le Festività. Zona rossa nazionale dal 24 dicembre al 6 gennaio, nei giorni festivi e prefestivi. Per gli altri giorni feriali, invece, zona arancione. In tutto ci saranno 10 giorni di lockdown totale mentre altri 4 saranno di parziali chiusure. Resta inoltre il divieto di muoversi in più di due persone, in deroga al blocco della circolazione. Di fatto, si potranno invitare due persone senza contare gli under 14. E sarà possibile andare da parenti e amici anche nei giorni rossi.
Ed è proprio in questo periodo natalizio che arriva in Italia quello che tutti aspettavamo da mesi: il vaccino. Il giorno dopo Santo Stefano, in tutta Europa, è il Vax-Day. In Italia arrivano 9.750 dosi di quello prodotto da Pfizer-BiONtech, ma il Ministero della Salute precisa che la distribuzione effettiva prevederà poi circa 470 mila dosi ogni settimana. Si vede la luce in fondo al tunnel.
Le polemiche interne, però, non smettono di infiammarsi. La più dura arriva a fine gennaio: mentre comincia a ridursi il carico settimanale di Pfizer-BiONtech, è scontro aperto tra Regione Lombardia e Ministero della Salute. “Se da domenica la Lombardia tornerà arancione lo deve esclusivamente al fatto che noi abbiamo contestato i conteggi del governo”, dice il presidente Attilio Fontana. “Avanzerò al governo la richiesta che nell’ambito del prossimo scostamento autorizzato dal parlamento venga inserita esplicitamente una somma che equivale a quello che è stato il danno che le nostre categorie hanno subìto”. Pronta la replica del ministro Roberto Speranza: “La Regione Lombardia, avendo trasmesso dati errati, ha successivamente rettificato i dati propedeutici al calcolo del Rt e questo ha consentito una nuova classificazione. Senza l’ammissione di questo errore non sarebbe stato possibile riportare la Regione in zona arancione. Questa è la semplice verità”.
Scontro che, anche nel nuovo governo di Mario Draghi, si ripropone in occasione di quella che doveva essere la riapertura degli impianti di sci da metà febbraio. Speranza conferma la chiusura pochissime ore prima dell’entrata in vigore della norma. Ne scaturisce una polemica con gli addetti del settore e con il ministro Garavaglia. Intanto, un anno esatto dopo Codogno, si torna a parlare sempre di più di un lockdown totale.
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