Le recenti dichiarazioni del ministro Cingolani e di Matteo Salvini sul ritorno del nucleare in Italia hanno fatto riesplodere il tema. Per due volte nella storia i cittadini italiani hanno detto “no” all’utilizzo degli impianti sul nostro territorio in due referendum. Il primo nel 1987 (un anno dopo l’incidente di Chernobyl), il secondo nel 2011 (tre mesi dopo la tragedia di Fukushima). Tuttavia, in questi ultimi 10 anni, è vero che il nucleare è davvero sparito completamente dall’Italia?
La risposta a questa domanda, in realtà, è: no. Il legame dell’Italia con il nucleare continua a resistere tutt’oggi. Anche se non si producono più elettricità dalle centrali. Del resto le centrali nucleari si trovano ancora a Trino Vercellese (Vercelli), Caorso (Piacenza), Latina e Garigliano (Caserta). Mentre gli impianti del ciclo del combustibile sono Eurex di Saluggia (Vercelli), Ipu e Opec di Casaccia (Roma) Itrec di Rotondella (Matera), l’impianto Fn di produzione del combustibile nucleare di Bosco Marengo (Alessandria) e il reattore di ricerca Ispra-1 nel CCR-Ispra (Varese). Comunque 34 anni dopo non c’è ancora un deposito per i rifiuti radioattivi.
Due sono comunque i principali canali che continuano a legarci a questo settore. Il primo è il decommissioning. È la procedura di smantellamento di un impianto nucleare. Il tutto consiste nell’allontanamento del combustibile, l’accertamento del grado di contaminazione radioattiva (la cosiddetta caratterizzazione radiologica), la decontaminazione delle strutture e infine la demolizione di quest’ultime.
L’obiettivo del decommissioning è gestire l’intero processo in sicurezza: sia per i lavoratori sia per i cittadini e l’ambiente. Si riporta il terreno su cui sorgeva la centrale allo stato originario, come con un prato verde (viene proprio detto green field). Esempi di imprese che operano in questo settore sono Ansaldo Nucleare e Sogin (Società Gestione Impianti Nucleari). Ansaldo opera lungo tutta la filiera: dalla costruzione di nuove centrali, al decommissioning e gestione di rifiuti nucleari. Offre i propri servizi a molti paesi esteri. Sogin è invece la società pubblica, completamente controllata dal Ministero dell’Economia e Finanze, responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi.
La pratica del decommissioning presenta sfide ingegneristiche e operative notevoli, soprattutto in Italia. Gli impianti nazionali sono molto diversi tra loro a livello tecnologico e non sono stati progettati tenendo conto della necessità di un loro smantellamento. La decisione storica di abbandonare l’energia nucleare prima di altri Paesi ha comunque spinto entrambe le aziende a sviluppare delle competenze chiave prima di altri operatori esteri. Creando l’opportunità per distinguersi in un settore con forte potenziale di sviluppo, soprattutto all’estero.
Vi è però anche una seconda connessione col nucleare ancora attiva nel nostro paese: quella del mondo accademico. L’Italia è storicamente legata agli studi in ambito nucleare. Basti pensare alle attività di ricerca pioneristica di Enrico Fermi ed Edoardo Amaldi. Una tradizione che continua ancora oggi, con università italiane che offrono corsi di laurea magistrale in ingegneria nucleare di alto livello, come il Politecnico di Milano, Torino, la Sapienza di Roma o all’Università di Pisa. Come riporta un articolo de Linkiesta, dagli anni ’60 in poi l’Università italiana ha formato diverse migliaia di ingegneri nucleari (più di 8.000 fino al 2010). Studenti che se nel passato trovavano occupazione nel settore civile o della ricerca, oggi non hanno uno sbocco naturale nel nostro Paese.
A oggi, dati specifici sull’occupazione dei neolaureati in ingegneria nucleare non sono del tutto disponibili. I dati del corso di ingegneria nucleare del Politecnico di Milano possono però fornirci qualche suggerimento. In questo caso, nel 2018 meno del 10% ha trovato occupazione all’estero. Chi rimane in Italia è spesso costretto a reinventarsi, perlopiù all’interno di società di consulenza tecnologica, enti di ricerca, o consulenza aziendale.
Tutto questo sta a significare che una volontà popolare contro l’utilizzo diretto dell’energia nucleare non ha determinato un’uscita totale dall’Italia da questa industria. Né sembra precluderne necessariamente un ruolo determinante (per quanto, per il momento, indiretto) negli anni futuri.
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