Caro Babbo Natale, sono vaccinato e incazzato

Caro Babbo Natale,

seppur da tempo immemore io non prenda carta e penna per scriverti, ho pensato di disturbarti approfittando, immagino, di un “ridimensionamento” della tua attività produttiva in questi giorni: suppongo, infatti, che restrizioni, distanziamenti, isolamenti e, nelle ultime settimane, vaccinazioni per i più piccoli, abbiano quantomeno diminuito la richiesta del mercato; ho deciso, pertanto, di riportarti in auge nonostante, me lo consentirai, da più di un paio di decenni io nutra ben più di qualche perplessità sulla tua esistenza.

Con crudo opportunismo, lo ammetto, mi ritrovo dunque a scriverti per riversare su di te quella sensazione di incazzatura e scoglionamento che al di fuori delle quattro mura domestiche è ormai impossibile esternare: troppo affilato il giudizio della gente, troppo tagliente il rischio di urtare sensibilità delle più variegate. Troppo più facile, ormai, tenerseli per sé quei sentimenti, magari ritrovandosi a parlottare da soli innanzi all’ennesima notizia di giornata a tema Covid.

Sono incazzato, caro Babbo Natale, per le bugie che da cittadino ho dovuto deglutire negli ultimi due anni, con un ingiustificato boost (Visto che bravo? Sto al passo coi tempi anche con il gergo…) di narrazioni e tifosismi cui ormai ci tocca assistere proprio a ridosso di una festività, quella del Natale, che dovrebbe vederci sereni e solidali verso il prossimo.

Anzitutto, una premessa: non sono arrabbiato per il raccapricciante video in cui tre virologi – fra i più celebri ormai del piccolo schermo – intonano un motivetto natalizio a scopo vaccinale. Sappiamo bene il Paese che siamo, no?, conosciamo bene cosa propone la televisione (e ora anche la radio) italiana; potevamo mai pensare di evitarci una messa in scena cui i volti noti di questo particolare momento prendessero parte nella speranza di inviare un messaggio di pace?
Che poi questo messaggio abbia cambiato i suoi connotati negli ultimi tempi, passando da parole di condivisione e generosità a un più asettico “Vaccinatevi”, questa è l’epoca che viviamo. Magari, se proprio la cosa ti tange, batti tu un colpo e riprenditi la scena.

Immunità di gregge e dose booster le “palle” di Natale

Mi incazzo, però, quando nel giro di poche ore sento proprio uno di quegli illustri esperti impegnarsi nell’elenco delle cavolate che ci sono state rifilate in questo anno; un anno di rinascita che di rinascita non è stato. “Che fine ha fatto l’immunità di gregge?” – si è chiesto il professor Andrea Crisanti – “Il green pass non funziona”, e “la durata della dose booster è di 6-7 mesi” ha proseguito.
A lui si è aggiunta un’intervista al Corriere della Sera dell’infettivologo Vella. “I vaccini? Funzionicchiano, ma è meglio di niente”. Queste affermazioni, e molte altre, le abbiamo viste infilate in un contesto di attualità più ampio, che vede il green pass durare, ora, sei mesi, l’apparizione improvvisa di un nuovo vaccino diverso dagli altri (il Novavax) e per questo più ‘convincente’ verso i dubbiosi (tu guarda), il boom di contagi derivante dalla variante Omicron con le sue prevedibili – anzi, no – conseguenze.

Un cocktail – eterologo – di avvenimenti che alimenta una volta di più il dubbio che il livello di considerazione verso i cittadini sia ormai un’abitudine retrò, quasi come se la Scienza fosse alla guida di una macchina da scontro il cui carburante, disponibile in infinite quantità, risulti essere il mondo dei media, sempre molto attento a cavalcare il trend del momento: prima erano i morti e gli ospedalizzati, ora i contagi. Con una ormai abituale e meritata pausa estiva dopo tutto questo gran daffare.

Mi sono vaccinato, Babbo Natale, e l’ho fatto di recente. Tardi, per molti che leggeranno, presto per pochi altri: obiettivamente, un dibattito che né mi interessa né ho necessità di alimentare.
Mi è sembrata una scelta obbligata, anche se il muro di ipocrisia secondo cui debba essere decisione facoltativa ancora regge incredibilmente.
Una scelta presa “per il bene della collettività” direbbero quelli bravi, molti dei quali spacciano la propria paura per amore verso il prossimo (qui, in Italia…) o fiducia nella Scienza. Una scelta presa semplicemente perché non ho avuto alternative, affermo io.

Perché vedi, caro Babbo Natale, le domande che un Crisanti si pone oggi, che rivolge alle istituzioni, le osservazioni che porta innanzi all’opinione pubblica – forse distratta, dal periodo, o più probabilmente sfiancata, dai tira e molla – sono quelle stesse domande che ogni cittadino si è posto ogni singolo giorno, nel mezzo della sua incompetenza, nel pieno di un senso di colpa verso chi gli stava vicino, nel rimpallo fra il giudizio gratuito dei suoi simili e la totale assenza di responsabilità da parte delle istituzioni.
Quelle domande, anzi, quelle risposte che ognuno di noi, nel suo piccolo, ha provato a dare, hanno spaccato una nazione, hanno aperto una crepa all’interno di una comunità, hanno provocato una demonizzazione per chi si è ritrovato in minoranza e una ferita intima, sottile, in chi alla maggioranza si è avvicinato per mancanza di vie d’uscita, in una sorta di soffocamento dove l’unica bolla di ossigeno è stata una siringa.

E non sono qui, caro Babbo, a sventolare le bandiere dei No-Vax, come ai più piacerebbe sentenziare: le pagine del sito che ho la fortuna di dirigere sono certo siano testimonianza di una visione aperta, moderata, approfondita che ho l’orgoglio di rappresentare.
Sarei, anzi, felice di sapere che, una persona della tua età cui tutti vogliono bene si è sottoposta alle – attuali – tre dosi di farmaco, evitando dunque conseguenze gravi in caso di contagio.
Come non sono qui ad autoincensarmi prodigo di consigli e teorie, carico di una presunzione di cui ho visto riempirsi tanta gente in questi mesi.
Non biasimo queste persone: nel momento in cui un rappresentante dello Stato, peraltro nel pieno dell’indulgenza generale nei suoi confronti, si lancia in criminalizzazioni pubbliche verso chi opta per una scelta legittimata dalla legge che lui stesso ha promulgato, ci vuol poco a gonfiarsi di certezze fittizie con cui riempirsi petto e bocca. Magari inferendo colpi continui a chi non la pensa allo stesso modo, con le spalle coperte dal pensiero comune, rinvigorito da giornalisti diventati pugili della carta stampata (e dei social… mamma mia i social!) e da politici cerchiobottisti di professione.

Ti parlo da uomo ferito, come avrai capito, perché già so che dei quesiti e delle falle che stanno emergendo guarda caso proprio nei giorni di festa, nessuno risponderà.
E non mi riferisco alle scoperte che mano a mano il percorso scientifico incontra: è insito nella Scienza testare, sbagliare, riprovare, cercare, trovare.
Mi riferisco all’inasprimento dei toni materializzatosi da agosto in poi, quando un intero movimento formato da politici, medici e giornalisti si è fatto portavoce di un pensiero unico che non ha mai considerato dubbi, paure, concrete perplessità e certificate contraddizioni, anzi ridicolizzandole, soffiando sul clima d’odio, incendiandolo, anziché sulla pandemia, provando spegnerla. Il Covid, insomma, ha attecchito non solamente nei nostri corpi, ma anche, e forse soprattutto, nei nostri animi.

Il labile confine tra “giusto” e “sbagliato”

E mi dà fastidio, caro Babbo Natale, aver inquadrato questa polveriera ancor prima che divenisse tale, quando con il team di Newsby comprendemmo che la spaccatura nel Paese era già realtà: non in televisione forse, ma nelle strade e nei vicoli dei nostri quartieri.
Chi dovremmo ringraziare, ora, nel ritrovarci a un punto morto? Con le code interminabili all’esterno delle farmacie alle quali prendono parte tutti, vaccinati e non, terze dosi e zero dosi, in una psicosi collettiva che un altro di quegli eminenti personaggi che affollano le tribune televisive oggi ha condannato?
Da dove troveremo la forza di ricompattarci in quanto comunità e comprendere quanto siamo stati, e siamo, tutti parte di un’emergenza di cui si può pensare il tutto e il niente ma, nonostante ciò, per la quale ci siamo fatti la guerra fino a oggi?  Servirebbe un collante, leggo invece di ulteriori strette, di ulteriori chiusure, di ulteriori contraddizioni di cui, ripeto, nessuno si assume la responsabilità.
Troppo presto, credo, si è agito in nome di un “giusto” e uno “sbagliato”, quando i confini di queste grandi categorie di pensiero sono, ancor di più oggi, così labili.

E poi le promesse. Quante promesse?
Quando ero piccolo mi insegnavano a non dire le bugie per poter ambire a ricevere da te, Babbo Natale, i doni che desideravo. Oggi che sono adulto, vedo una facilità nello spendere parole pregne di falsa moralità che la voglia di tornare bambino non torna solo perché esserlo oggigiorno significa Dad, significa vaccinazione senza aver mai mostrato conseguenze gravi innanzi a un virus, significa muoversi con cautela quando a quell’età serve dar sfogo al terremoto che si ha dentro.

Non te le elenco quelle promesse, Babbo Natale, non ti racconto le illusioni dalle quali ci han fatto passare, non te li descrivo quegli sguardi colmi di inutile perbenismo che ho ricevuto in questi mesi, non ti riporto qui i post di chi blatera senza sapere, che sia egli favorevole o meno al vaccino o a tutto ciò che ne deriva.

Dicevano che ne saremmo usciti migliori, io vedo un mondo ancor più gretto e mediocre in cui, lo so, è un paradosso, forse solo questa pandemia saprà risultare utile: azzerando le spaccature dopo averle acuite, riconciliandoci dopo averci divisi, ritrovandoci dopo esserci persi.

Questo Natale il regalo che ti ho chiesto è un momento di sfogo, una parentesi di intima libertà in un contesto pieno di gabbie, un interlocutore che mi sappia ascoltare senza incorrere in giudizi.

E chissà che, tra i mille dubbi emersi in questi ultimi tempi, non ricominci a chiedermi se tu, Babbo Natale, esista davvero.

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