Caos tamponi, il senso di smarrimento degli “invisibili” del contact tracing

Che il tracciamento dei contagi da Covid-19 sia sempre più complesso, se non addirittura “saltato”, è ormai un dato di fatto (ne abbiamo parlato anche qui, citando i numeri “record” degli ultimi giorni). Durante le festività natalizie la situazione è anche peggiorata: il numero di richieste di tamponi è sfuggito al controllo delle Asl e delle farmacie, e non è bastato riaprire i drive-through (o aprirne di nuovi) per migliorare la situazione.

E, nel periodo in cui case e città sono addobbate, gli spostamenti per le vacanze hanno creato un nuovo tipo di disagio: quello della sospetta positività lontano da casa con l’impossibilità di fare un tampone. In soldoni, c’è chi di fatto è “invisibile” per il cosiddetto contact tracing.

Gli “invisibili” del contact tracing: chi sono

Dalle Alpi alla Sicilia, infatti, non sono mancati casi di “contatto stretto” con persone rivelatesi positive lontano da casa. A parte la “seccatura” della quarantena, per molti è risultato difficile anche solo capire come comportarsi, viste le difficoltà nel fare un tampone alla Asl o in farmacia, le regole in continuo aggiornamento e l’impossibilità di registrare eventuali positività (o negatività) a seguito del tampone fai-da-te. Solo le strutture convenzionate, infatti, possono inviare l’esito dei tamponi al registro DGC predisposto dal governo.

In questo senso, dunque, si è evoluto il concetto di “invisibile” del contact tracing. Una persona che magari al fai-da-te risulta positiva, ma non riesce ad effettuare il tampone antigenico o molecolare in una struttura collegata all’Asl di riferimento. E, dunque, è come se per il “cervellone” dell’autorità sanitaria non esistesse.

Un discorso simile vale anche per chi finisce la quarantena. In tutt’Italia sono stati segnalati casi di persone che avevano necessità di fare un tampone all’Asl o in farmacia per registrare la propria negatività e riattivare il Green pass sospeso. Ma ha avuto difficoltà, legate a logistica o tempi, nel farlo. Creando così una situazione frustrante, per la quale è impossibile individuare la chiave di volta più efficace.

Il caso legato all’utilità del test sierologico e le contraddizioni degli uomini di scienza

Tra l’altro, nella lotta contro il Covid sembra essere ormai sparita una delle armi che a inizio pandemia era assai considerata, il test sierologico. Da quando è partita la campagna vaccinale, infatti, questo tipo di esame (che permette di verificare se e quanti anticorpi sono stati sviluppati) non è più utile a capire se si è stati contagiati. Perché il numero degli anticorpi potrebbe essere alto grazie al vaccino.

Accanto al dato di fatto, però, non è mancata la polemica a livello scientifico. Il professor Massimo Galli, ad esempio, ha suggerito di effettuare il test prima di effettuare la terza dose proprio per verificare la quantità di anticorpi già presenti. Il suo collega Roberto Burioni, invece, lo ha contraddetto definendo “inutile” l’esame sierologico e invitando tutti a fare la terza dose, senza se e senza ma. Ed è questo tipo di contraddizioni che, spesso, disorienta gli italiani. Contribuendo alla confusione generale.

Non aiutano nemmeno i continui aggiornamenti delle norme anti-Covid

Il caos tamponi e tutto ciò che ne consegue ha portato anche parte degli italiani a puntare il dito contro il governo. I tre decreti-legge emanati fra il 24 dicembre e il 5 gennaio hanno mandato gli italiani letteralmente in tilt. E anche dal punto di vista dei controlli la situazione generale è sempre più complicata da gestire.

La variante Omicron, come se non bastasse, ha rialzato la curva pandemica proprio quando si pensava di intravedere la luce in fondo al tunnel. E la battaglia sul rientro a scuola fa pensare che, dopo quelli delle vacanze di Natale, possano nascere anche gli “invisibili” del secondo quadrimestre.

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